Un social network che mette in comunicazione più di un miliardo di persone non può pensare di lasciare alcunché al caso. Nemmeno un sorriso: nemmeno una emoticon. Emerge infatti quanto lavoro e quanta scienza ci siano stati dietro allo sviluppo del primo set di emoticon adottate da Facebook: quanto studio e quanta esperienza abbiano portato a quelle piccole faccine gialle che Mark Zuckerberg ha voluto per le proprie chat.
Inizia tutto da molto lontano: inizia tutto con Charles Darwin il quale, ben prima che Facebook fosse anche solo lontanamente immaginabile, aveva notato come le espressioni facciali di ogni essere umano si possono accostare per similitudini eccezionali (“The Expression of the Emotions in Man and Animals“), tali da legare le espressioni del viso a precisi istinti che legano le emozioni ai movimenti. La cosa, nota da tempo, negli anni è maturata fino alla nascita delle prime emoticon testuali fatte di caratteri quali :) :( ;) :D
(la prima emoticon è datata 19 settembre 1982 ed è firmata Scott E. Fahlman). La successiva frontiera è quella delle prime emoticon grafiche che hanno iniziato a sostituire poco alla volta le prime combinazioni fatte di puntini e parentesi, portando sui primi instant messenger ad una valanga di nuovi set di creatività. Facebook ha fatto tesoro di tutto ciò, lo ha filtrato per mano della scienza ed ha dato vita a “Finch”, il set di emoticon alla base di quelle oggi in adozione.
Il lavoro inizia con il professore di psicologia Dacher Keltner, in collaborazione con Facebook fin da inizio 2012. I suoi studi hanno dimostrato come una emoticon sia in grado di aumentare il coinvolgimento di un messaggio poiché il suo rendere più “prossima” la comunicazione tende ad aumentare le possibilità di ricevere una risposta. Al tempo stesso non è esattamente chiaro il processo tra fonte emittente e fonte ricevente, dunque non è chiaro se la ricezione del significato dell’emoticon è sempre lineare e fedele rispetto alle intenzioni di chi l’ha utilizzata nel proprio messaggio. L’uso di forme testuali di emoticon o simboli grafici non ben codificati, insomma, rischia di rendere ambiguo il messaggio e tale da non trovare la forza comunicativa desiderata.
Gli studi hanno quindi identificato circa 50 espressioni non-verbali che le emoticon avrebbero dovuto interpretare all’interno della chat di Facebook, ed il lavoro è passato quindi nelle mani di Matt Jones, illustratore Pixar, il quale ha avuto il compito di tradurre in simbolo grafico quel che la scienza chiedeva all’emoticon.
Nasce così Finch, il set da 50 “faccine” da cui sono state estrapolate le 16 in seguito adottate dal social network. Facebook non sembra escludere per il futuro la possibilità di introdurre modifiche al set, adattando così nel tempo i simboli grafici sulla base del feedback della community più grande del mondo.
Le emoticon vogliono essere il simulacro virtuale di quel che Darwin aveva scoperto molti anni prima: alcune espressioni del viso hanno un significato naturale che affonda le radici nell’istinto, dunque attingere da questo vocabolario significa rendere la comunicazione più fluida, naturale, completa e soddisfacente. Il che, per Facebook, significa potersi avvicinare una volta di più al baricentro dell’ecosistema comunicativo della propria utenza.