Facebook ha replicato con tono eccezionalmente ironico allo studio dell’Università di Princeton, mettendola sullo stesso piano, statistico, in modo che sia altrettanto affermabile che anche quella università rischia l’estinzione a breve termine. Un modo divertente, ma al fondo serio, di smentire le previsioni catastrofiche sul futuro del social network.
Lo studio in stile “epidemiologico” su Facebook ha fatto molto parlare di sé in tutto il mondo, dato che ha previsto la perdita di addirittura l’80% degli utenti in soli tre anni. Previsione sul cui fondamento il team scientifico di Facebook, composto da Mike Develin, Lada Adamic e Sean Taylor ha risposto con tanto di dati, tabelle e grafici. Per difendersi? Tutt’altro. Per dire qualcosa di Princeton:
Utilizzando la stessa robusta metodologia presente nel documento, abbiamo cercato di saperne di più su questa “Princeton University”, e non crederete a quello che abbiamo trovato: in linea con il principio scientifico “correlazione = causalità” la nostra ricerca ha dimostrato inequivocabilmente che Princeton potrebbe essere in serio pericolo e scomparire del tutto.
Insomma, Facebook ha fatto un poke, decisamente sarcastico, all’Università colpevole di aver dato credito a uno studio su cui c’è in effetti qualcosa da dire. Ma è lo stile a sorprendere: Menlo Park è tradizionalmente molto composto nel replicare alle critiche, mentre stavolta ha scatenato scienziati (veri) contro altri ricercatori, per dare una piccola dimostrazione di come si debba usare con le dovute cautele la sempre delicata materia statistica. Ragion per cui è famosa una battuta che circola da decenni nei dipartimenti di statistica nelle università di tutto il mondo:
La statistica è quella scienza che sostiene che se hai la testa nel forno e le natiche nel frigorifero, stai mediamente bene.
Le ragioni di Facebook
Oltre alla apprezzabile ironia, si possono anche evidenziare le ragioni della protesta di Facebook. Lo studio, infatti, secondo Big F ha almeno tre gravi debolezze:
- Il paragone con un virus: Un servizio di social networking può effettivamente distogliere molta attenzione ed è stato dimostrato che alcune persone hanno sviluppato forme di social-addiction, ma questo non significa che funziona in realtà come un virus. Si tratta di processi culturali.
- Il paragone con MySpace: Su questo Facebook proprio non ci sta. Lo studio non fa menzione del fatto, incontestabile, che è stata proprio la creatura di Mark Zuckerberg a seppellire MySpace, quindi devono avere caratteristiche così diverse da rendere inutile un confronto sui loro destini.
- Aver usato il motore di ricerca: L’errore fondamentale dal punto di vista tecnico. Facebook sa bene di crescere nell’ambiente mobile, sui cellulari, dati che non sono ancora indicizzabili. Il declino delle query su Google non dimostra molto considerando che oltre la metà del traffico di Facebook proviene dall’attività in connessione mobile.