Cosa ci succede quando ogni mattina, spesso ancora prima di alzarci dal letto, clicchiamo su quella iconcina blu? In questi anni si sono sprecate le ricerche sulle interazioni dei social network, che hanno un lato positivo e uno negativo, si sa: avere relazioni forti con gli altri fa bene all’essere umano, isolarsi invece fa male. La questione è che nessuno ha mai capito bene quanto pesi l’interazione online, ma uno studio americano ha cercato di considerare in modo più esteso queste interazioni giungendo alla conclusione che contribuiscono a un generale abbassamento del benessere, anche se è complicato spiegare come e perché accade.
Negli anni passati si sono letti sondaggi e ricerche di tutti i tipi su questo tema, ma campioni poco rappresentativi, metodi empirici o di autovalutazione hanno sempre fatto di tutti o quasi gli studi su Facebook, che lo accusavano alternativamente di fare bene o male, oppure niente, parole utili ai titoli della stampa. Lo studio di un gruppo di ricercatori della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health di Oxford rappresenta invece un buon tentativo, strutturato, rigoroso, di analizzare gli effetti del social sull’umore delle persone partendo dalla sfida di raccogliere dati considerando solo le interazioni tramite lo schermo, senza paragoni con le relazioni sociali in carne e ossa. Quando si analizza un social network si deve considerare, spiegano i ricercatori, che le persone tendono a mostrare gli aspetti più positivi della loro vita sui social media, inoltre è possibile per un individuo, di converso, credere che quello che vedono presentata dagli altri sia una vita migliore della loro. Da qui lo scetticismo generale sul giudizio che vuole l’uso dei social portare alla depressione: potrebbe essere che le persone con minore benessere siano più propense a usare i social media, piuttosto che i social media determinino un minore benessere. Inoltre, altri studi hanno trovato che l’uso dei social media ha un impatto positivo sul benessere attraverso un maggiore sostegno sociale e il rafforzamento delle relazioni del mondo reale.
Facebook: può nuocere all’umore
I ricercatori hanno cercato di ottenere un quadro più chiaro del rapporto tra uso dei social e benessere utilizzando tre diversi set di dati provenienti da un panel longitudinale nazionale di 5.208 adulti gestito dall’organizzazione Gallup, insieme con diverse misure di utilizzo di Facebook scovate nelle migliori statistiche; dopodiché le hanno incrociate coi dari sanitari disponibili al centro che finanzia la ricerca, dalla salute mentale all’indice di massa corporea. Tra i dati considerati e le misure adottate, ci sono l’empatia mostrata verso gli altri, la creatività nei post, mentre gli studiosi sono tornati a chiedere più volte a tutti gli adulti del campione, nel giro di due anni, di nominare almeno quattro amici coi quali sono soliti discutere di cose importanti e altrettanti coi quali trascorrono del tempo libero.
Tenendo traccia di abitudini e stato dello stesso campione in un periodo di tempo abbastanza lungo, le interpretazioni dei dati sono meno limitate numericamente, evitano di scattare una fotografia statica, e ciò che affermano riguarda un feel che potrebbe avere un qualche valore tendenziale. Questo modello ha mostrato che il livello iniziale di benessere tende a peggiorare proporzionalmente all’uso sempre più frequente del social. I ricercatori scrivono di «alcune evidenze sull’associazione tra l’uso di Facebook e la compromissione del benessere, in un processo dinamico».
Anche se siamo in grado di dimostrare che l’uso di Facebook sembra portare a diminuire il benessere, non possiamo definitivamente dire come che si verifica. Non abbiamo visto molta differenza fra i tre tipi di attività che abbiamo misurato – simpatia, distacco, e clic ai link – e l’impatto sull’utente. (…) Nel complesso i nostri risultati suggeriscono che il calo del benessere sia una questione di quantità di utilizzo, piuttosto che solo la qualità. Se abbiamo ragione, i nostri risultati sono in contrasto con la precedente ricerca scientifica che sosteneva che la quantità di interazione sociale dei media è irrilevante mentre solo la qualità di tali interazioni è importante.
Cosa significa, davvero?
La ricerca è certamente interessante, anche per l’approccio non allarmistico e non definitivo. Il punto sembra essere quello già noto, attorno al quale si discute ormai da una decina d’anni: i social sono siti incredibili, stanno cambiando il mondo, ma, come peraltro ha sempre sottolineato Mark Zuckerberg, danno l’impressione che ci stiamo impegnando in interazione sociale significativa, e questo non è sempre così; spetta a noi comprendere che la natura e la qualità di questo tipo di connessione non può essere un sostituto dell’interazione nel mondo fisico di cui abbiamo bisogno per una vita sana.
C’è tuttavia un elemento ulteriore, la dipendenza dai social in mobilità di cui soffrono in particolare i millennials. Bisogna essere chiari, come ha detto in un famoso speech Simon Sinek: quando ci si sveglia e invece di dire buongiorno o alzarsi si accede con lo smartphone, quando non si riesce a spegnerlo neppure durante colloqui importanti, riunioni di lavoro, appuntamenti sentimentali, vuol dire consentire a queste cose di distruggere le relazioni vere, perché ruba tempo, denaro, attenzione, peggiorando l’esistenza. E questo tipo di dipendenza ha una origine molto precisa, biochimica: la piccola soddisfazione provata nel vedere una notifica, che libera una piccola quantità di endorfine. Aggiungendo il fortissimo sistema, sempre inventato dalla silicon valley, di gratificazione immediata dei servizi online, le persone più giovani tendono a sopportare lo stress gratificandosi con migliaia di piccoli accessi online e a restare dentro cornici online di autorappresentazione che non sono adatti ai processi lenti come una relazione stabile, un lavoro stabile.
Insomma, di per sé Facebook come tutti gli altri social non fanno male, ma se li si usa tanto, sempre, continuamente, potrebbe peggiorare uno stato negativo.