Faceboook è popolato da milioni di bambini che, mentendo sull’età, si iscrivono al social network, spesso con l’approvazione dei genitori che addirittura li aiutano a creare un account tutto per loro. Una situazione che un anno fa convinse Mark Zuckerberg ad affrontare il problema con qualcosa di meno tedioso – e soprattutto inutile – della cancellazione degli account illeciti, bensì immaginando di convincere le autorità che era più sensato formalizzarne la presenza per poterli tutelare meglio. Ora il momento delle decisioni sembra arrivato e persino la Commissione Europea può facilmente sostenere questo tipo di approccio.
È il Wall Street Journal a svelare che gli ingegneri di Palo Alto stanno lavorando a un sistema di accesso parallelo al sito che comporti l’adesione sia del minore che del genitore, al quale viene demandato il veto sulle amicizie e l’uso delle applicazioni. Una sorta di parental control applicato al social network col quale Facebook vuole aggirare il Privacy Protection Act sugli under 13 – un protocollo di legge molto dispendioso, utilizzato per intenderci dai siti della Disney – e inventarne uno proprio che rispetti le leggi federali e protegga i bambini da possibili intrusioni.
I numeri la dicono lunga sull’opportunità di regolarizzare la presenza degli under 13: è stato calcolato che su Facebook ci sono almeno 7,5 milioni di bambini, di cui due terzi sotto i dieci anni. Pensare di risolvere il problema cancellando i profili uno ad uno è come pretendere di riempire un secchio con un buco sul fondo. Molto più intelligente sarebbe regolarne la presenza garantendo il massimo rispetto per la privacy, creando così un ambiente protetto sin dall’ingresso che consenta di apprendere le dinamiche del social network con rischi prossimi allo zero.
Qui però sorgono le prime perplessità. Il social di Menlo Park vuole, da un lato, gli under 13, ma dall’altro mostra con il referendum consultivo di questi giorni di avere la chiara intenzione di ampliare il proprio arbitrio sui dati personali dei suoi utenti. Due iniziative parallele, per molti versi incompatibili, anche se formalmente distinte, due tensioni opposte che giustificano alcuni commenti dei blog americani – molto sensibili sul tema dei minori sul web (anche per l’immane problema del bullismo) – che non vedono di buon’occhio questa operazione, troppo simile per certi aspetti alle campagne pubblicitarie degli anni ’60 e ’70 che portarono le multinazionali del tabacco e della nutrizione a conquistare i bambini per farne loro futuri e fedeli clienti.
L’aggancio degli under 13 è senza dubbio una comprensibile azione di regolamentazione e di tutela, ma può nascondere anche una strategia commerciale molto spregiudicata. Il processo alle intenzioni, quindi, non potrà che affiancare l’analisi dei passi di Zuckerberg in questa direzione.