Da almeno trent’anni non si vedeva la Capitale messa a ferro e fuoco come lo scorso 14 dicembre, durante la lunga giornata della sfiducia al governo e i cortei degli studenti e dei centri sociali. Si potrebbe anche dire che mai s’era vista una copertura di questo genere da parte del Web. La protesta è stata 2.0, con pregi e difetti.
Il primo pregio è la straordinaria quantità di materiale a disposizione di chiunque voglia guardare e farsi una propria opinione. Il più noto sito che fa citizen journalism, YouReporter, ha una pagina speciale con decine di video caricati da smartphone e videocamere da moltissimi punti della città.
Un materiale che rappresenta la base sul quale hanno lavorato blasonate testate come il “Corriere della Sera”, che ancora oggi torna a scriverneì per chiarire alcune vicende inserendo questi video nella pagina.
Per quale ragione bisogna chiarire? Semplice: il giornalismo “tradizionale” si è probabilmente lasciato trascinare dalla forza delle immagini e ha dimenticato un precetto del mestiere: una immagine, da sola, non dice niente. Queste immagini, spesso fotogrammi dei video, hanno cominciato a girare anche sul Web.
Su Facebook se sono diffuse alcune che cerchiavano in rosso ragazzi coperti in viso che portavano manganelli o manette d’ordinanza, che sembravano avere un atteggiamento ambiguo rispetto alle forze dell’ordine. Foto in molti casi sparite.
L’accusa era però partita subito: erano infiltrati. Il timore non si è fermato al Web e si è trasferito nei palazzi. Pochi minuti dopo la diffusione di queste immagini, un’esponente di rilievo del Senato come Angela Finocchiaro ha chiesto spiegazioni al ministero degli Interni, alludendo proprio alla possibilità che il corteo fosse stato infiltrato da agenti provocatori.
A questo punto non si è capito più niente, tra accuse reciproche, immagini clamorose come quella delle scarpe, rivelatasi poi un fake (proviene dal Canada, scattata nel 2007 durante una manifestazione di protesta nel Quebec), la notizia dell’arresto di un 16enne che sarebbe proprio quello immortalato con giaccone e felba beige (che non può essere, dunque, un agente).
Questo è il difetto principale del Web 2.0 rispetto all’informazione: tende a non riscontrare le fonti. La velocità supersonica con la quale diffonde un’immagine, un dato, è tale che prescinde dalla sua opinabilità.
La forza persuasiva di questi strumenti ha persino rotto la vecchia diffidenza della carta stampata, che ieri ha pubblicato le stesse immagini e ripreso gli stessi argomenti senza particolari discussioni. Oggi molti stanno facendo un passo indietro cercando di riprendere l’argomento con più calma, anche se naturalmente permangono molti misteri in tutta la vicenda.