Quel che sta succedendo in questi giorni con i noti video di Fanpage “Bloody Money” è cosa destinata a lasciare un segno. Ed è un segno che in tanti (dai trenta in su) abbiamo già visto e sappiamo riconoscere. Si tratta di quel segno che incide il vinile della nostra storia, facendola gracchiare sempre in quel punto esatto della melodia: distorcendola, ma al tempo stesso rendendo unico il nostro rapporto con essa. Sono le emozioni forti a creare queste incisioni nella nostra memoria e benché non ci facciamo caso fino in fondo, spesso è stata la televisione a veicolarci questi messaggi. Ecco perché in questi anni il mezzo è stato il messaggio (con tutto quel che di profondo e di inesatto può significare questa massima troppo spesso abusata): la tv ci ha insegnato la storia, spesso l’ha scritta, fino a rendersene protagonista, per poi capitalizzare al massimo questa sua (meritata) egemonia grazie all’influenza, alla diffusione ed alla posizione di massimo controllo acquisita nei confronti delle masse.
Oggi nella memoria ci rimarranno però altre parole. Non pronunciate in un talk show, non viste al tg, ma ripetute ossessivamente like dopo like, condivisione dopo condivisione:
Sono un ex boss della Camorra ed ho gestito per anni il traffico dei rifiuti in tutta Italia
Perché questo è l’incipit di una doppia vicenda: quella dell’inchiesta “Bloody Money“, i cui contenuti sono oggi al centro del dibattito nazionale, e quella di un equilibrio ormai fragile tra il colosso televisivo e l’intraprendenza dilagante che divampa sul Web.
La lunga epifania
Che la tv (non intesa come rettangolo luminoso in salotto, ma in qualità di canale mainstream di trasmissione) si stesse trascinando ormai da tempo sulla sola forza della propria posizione egemone, però, è ormai cosa chiara a tutti. L’epifania dello strumento, destinato a perdere gran parte della propria forza nel giro forse di un decennio, vivrà strattoni continui e frequenti conferme, ma sarà qualcosa di sottile poiché inerente ad un rapporto profondo, profondissimo, tra la società, la propria forma, le proprie comunicazioni ed i propri equilibri. In questo riassetto saranno tirati in ballo diritti, capitali, politica e molto altro ancora. Tutto, per certi versi, rimarrà coinvolto in questa transizione.
Ma se di transizione si tratta, allora ancora non è ben chiaro quale sia il punto di approdo: l’ibridazione tra i mezzi e tra i linguaggi è sotto gli occhi di tutti, ma la sensazione oggi è che si sia più immersi in un grande flusso evolutivo che non indirizzati unitariamente verso un preciso punto di arrivo. L’erede della tv non c’è e forse mai ci sarà (e sicuramente non apparirà all’improvviso, ma maturerà a seguito di aggiustamenti progressivi che coinvolgeranno in senso evolutivo la tv stessa), ma è chiaro chi ne sta per firmare il testamento: si tratta del Web, nelle sue molte forme, nelle sue mille espressioni, nelle sue immense potenzialità. Sarà il Web a cambiare la tv, un po’ forzandone l’ascesa ad una nuova dimensione, un po’ aprendovi i propri canali per cercare un punto di contatto e di sinergia.
Video da terza repubblica
Non è questa la sede per giudicare il lavoro di Fanpage, l’opportunità delle perquisizioni ai suoi uffici e l’opportunità di approfondimenti di questa natura. Quel che appare chiaro è invece l’incredibile potere di quelle immagini, destinate a graffiare il vinile della nostra storia così come lo hanno fatto molte delle immagini di quella Prima Repubblica che credevamo defunta (e che invece aleggia tra di noi come fantasma ed ombra di un passato mai realmente scomparso). C’è però qualcosa di diverso stavolta: non guardiamo quelle immagini seduti sul divano, davanti alla tv. Questa volta l’inchiesta arriva dallo smartphone, o dalla scrivania, o dal tablet in ufficio, o dal post di un amico. Questa volta non è il telegiornale a rilanciare le immagini e non è l’approfondimento del giovedì sera a proporle: stavolta è un flusso continuo di condivisioni che, scatenate dal reportage di Fanpage, fanno vibrare l’Italia nel contesto di una delle più folli e tristi campagne elettorali degli ultimi decenni. La tv in questo contesto è solo uno strumento secondario, ancora una volta costretto a inseguire il Web dopo che per anni si è interrogato sull’opportunità di formattare le proprie cronache sull’incedere dei tweet. Dalla Prima Repubblica alla Repubblica 3.0, dove a cambiare non sembra essere la storia (ciclica, ripetitiva, nauseabonda) ma gli strumenti che ne veicolano la narrazione.
Una storia, quella raccontata da Fanpage, che spazza via il polverone delle fake news e questo non perché le cancella, ma perché le relativizza. Il Web dei cyberbulli, degli hacker e delle bugie diventa improvvisamente la nuova voce del Giornalismo che conta, quello in prima fila, quello a metà tra l’indagine forense e la didascalia ad una istantanea di un momento storico.
La novità per gli over-30 è che c’è un modo nuovo per segnare a fondo il proprio rapporto con la storia: un video sul Web, nato sul Web, costruito per il Web. Sebbene fosse scontato che prima o poi sarebbe successo, non son poche le dinamiche che possono portare a questo piccolo grande passo: gli astri da allineare sono molti e la genesi è lunga. La serie dei video di Fanpage non va intesa come l’inizio di un fenomeno: sarebbe strumentale e fuorviante leggere in questo modo gli avvenimenti di questi giorni. Quel che è stato realizzato, semmai, è l’emergere e la conferma di un fenomeno in atto da tempo: il vulcano erutta d’improvviso soltanto quando non se ne sanno interpretare i chiari segnali dell’immediata vigilia.
Un giornalismo, molti media
Molti hanno saputo toglierselo in tempo, ma alcuni hanno ancora ha in testa il germe che consente di leggere la parola “Giornalismo” soltanto quando è scritta su carta stampata o perimetrata dal volto di un personaggio in tv. Eppure non è così da tempo, un decennio almeno. Ma solo ora il fenomeno è destinato a farsi sentire, a fare rumore, a graffiare il vinile di una storia collettiva. Il Web, oltre ad essere uno strumento in grado di connettere tra di loro, uno ad uno, milioni di italiani, ha dimostrato di essere in grado anche di veicolare un contenuto mainstream forte, storico, pesante, simbolico. Elemento collettivo, moneta culturale.
Fanpage ha fatto la storia, comunque si chiuderà questa vicenda nel lungo periodo. E questo perché Fanpage siede sulle spalle di un gigante chiamato Web, fatto di migliaia di siti e milioni di utenti, tante piccole formichine che giorno dopo giorno hanno reso questa casa sempre più solida e importante. I prossimi ad accorgersene ed a dare una scossa all’ambiente saranno gli investitori, i quali stanno discutendo da tempo modi e canoni linguistici per far sì che i capitali possano andare online invece che atterrare su una tv nella quale i palinsesti scritti dagli annunci pubblicitari stanno perdendo sempre più attenzioni. La sfida tra i brand ed i gruppi editoriali viene in seconda battuta: il cuore dell’evoluzione in atto è nel riequilibrio dei poteri tra la tv e tutto il resto.
La chiave è il tempo: dopo una generazione che ha passato le ore sulla tv, ne arriva una che passerà le proprie ore online. L’egemonia culturale sposta i propri baricentri, i propri protagonisti, i propri attori, i propri canoni linguistici e le proprie regole. I video di Fanpage saranno ricordati come l’ennesimo scalino di questa storia, uno strappo come gli altri con l’aggiunta di un impatto emotivo che renderà memorabile il lavoro compiuto. E un giorno, quando nei nostri ricordi sentiremo gracchiare il vinile di questo 2018, distingueremo nitidamente il fastidio che oggi stiamo provando per quelle mazzette spudorate, quelle valigie scambiate, quei milioni di euro di cui i video parlano. “L’avevo visto online”, diremo ai nostri figli. “Dove, altrimenti?” ci risponderanno loro.