Ha tenuto banco per diverse settimana e, sebbene si sia rinunciato a una causa legale, la contrapposizione tra Apple e l’FBI è destinata a perdurare nel tempo. Al centro delle attenzioni dei media vi è proprio l’agenzia governativa statunitense, dopo lo sblocco in autonomia di un iPhone 5C posseduto dagli attentatori di San Bernardino. E la domanda è la medesima da più fronti: i dati copiati si sono rivelati utili per le indagini?
Durante la recente conferenza dell’International Association of Privacy Professionals, tenutasi questa settimana in quel di Washington, il legale dell’FBI James A. Baker non ha voluto mostrarsi troppo rivelatore sulla questione. L’esperto ha spiegato come i dati siano ora al vaglio delle indagini dell’agenzia, ma pare sia ancora presto per scoprire se le informazioni raccolte potranno risultare utili:
Ci stiamo ancora lavorando, questa penso sia la risposta. È valsa la pena combattere per assicurarci di aver sollevato ogni questione, con rispetto all’indagine. Lo dobbiamo alle vittime e alle famiglie, dobbiamo assicurarci di seguire qualsiasi pista logica.
Come facile ipotizzare, i contenuti di questo iPhone 5C non verranno mai resi pubblici se non in sede di processo, ma i media statunitensi proseguono con le pressioni, per scoprire se il clamore suscitato nella battaglia contro Apple sia stato alimentato da motivazioni sufficientemente lecite. Quella accaduta negli Stati Uniti, infatti, è stata una vera contrapposizione tra privacy e sicurezza, il tentativo di proteggere l’una a discapito dell’altra. La Mela, invece, ha voluto fermamente ribadire come sicurezza e privacy siano due valori necessari e inviolabili, destinati a convivere anziché annullarsi a vicenda.
Nel frattempo, prosegue la caccia all’azienda terza che ha permesso all’FBI di sbloccare lo smartphone senza l’aiuto di Apple. Il nome non è stato ufficialmente comunicato alla stampa, ma le fonti statunitensi parlano del possibile intervento di un’azienda israeliana. Se ne saprà di più, forse, nelle prossime settimane.