A poche settimane dalla terribile sparatoria presso la chiesa texana di Sutherland Springs, un dilemma etico coinvolge la stampa e gli esperti di biotecnologie a stelle e strisce. A seguito dell’ormai consueta contrapposizione tra Apple e l’FBI per lo sblocco di iPhone e altri dispositivi appartenuti a criminali e attentatori, si è paventata l’ipotesi l’agenzia federale statunitense possa ricorrere, o addirittura possa averlo già fatto, al cadavere del terrorista Devin Kelley pur di aver accesso al suo terminale. E la discussione oggi verte non solo sull’effettiva possibilità dal punto di vista tecnologico, ma anche sull’eventuale legittimità da quello morale, con opinioni fra di loro contrastanti.
Al momento, non è dato sapere se gli investigatori statunitensi abbiano fatto ricorso, sia per questo caso che per i precedenti, ai dati biometrici di deceduti pur di aver accesso alle informazioni ospitate sui loro iPhone. Si tratta di indiscrezioni che non trovano sufficiente conferma, tuttavia capaci di aprire un dibattito interessante. In questo specifico frangente, si parla ovviamente di Touch ID, il sistema per il riconoscimento delle impronte digitali disponibile negli iDevice, poiché ai tempi dell’attentato iPhone X non risultava ancora in vendita.
Sul fronte della plausibilità tecnologica, non sembra esservi accordo fra gli esperti sull’efficacia di impiegare le dita di un defunto per effettuare una scansione delle impronte digitali. Così come ha spiegato Mashable in un lungo intervento, il sistema elaborato da Apple si basa sia sull’uso di onde RF per evidenziare gli strati più profondi della pelle, sia sul riconoscimento capacitivo del polpastrello. In questo senso, è quindi necessaria un’impercettibile tensione elettrica a livello dell’epidermide affinché la scansione vada a buon fine, una possibilità garantita solo se il proprietario del terminale è in vita. Così ha spiegato Daniel Edlund di Precise Biometrics:
Se la tecnologia di riconoscimento delle impronte è dotata della cosiddetta “liveness detection”, o della Presentation Attack Detection in termini professionali, la scansione delle dita verrà rifiutata. Non importa se si tratti di una copia di un’impronta, come una riproduzione in gomma, in silicone, in plastica o le dita di un defunto.
Eppure, così come sottolinea Nate Cardozo dell’Electronic Frontier Foundation, sono noti alcuni remoti casi in cui hacker sono riusciti a sbloccare iPhone impiegando riproduzioni delle impronte digitali, a scopo di test. E dello stesso parere è anche Dan Tentler, ricercatore di Phobos Group:
Touch ID, certamente. Face ID? Difficile dirlo. Probabilmente lo si può fare se si riesce a mantenere aperti gli occhi del defunto. Tuttavia, è nota la vicenda di un giovane che, dopo aver rasato la barba, non è stato più in grado di farsi riconoscere da Face ID, quindi è davvero difficile dirlo.
Indipendentemente dall’effettiva plausibilità tecnica, più profonda sembra però essere la domanda dal punto di vista morale. La questione non è di semplice risoluzione, poiché dipende dalla prospettiva con cui si guarda al problema. Da un lato, infatti, prevale l’esigenza della protezione delle vittime e la necessità di prevenire simili attacchi, di conseguenza lo sblocco tramite i dati biometrici di un defunto potrebbe risultare utile per identificare e sgominare cellule terroristiche o, ancora, scovare dei corresponsabili. Dall’altro, invece, prevale un’orientamento volto al rispetto della privacy, non tanto per l’attentatore in sé, quanto per evitare simili libertà dal punto di vista legale possano andare a detrimento dei diritti dei singoli cittadini. La questione, di conseguenza, rimane del tutto aperta.