Si è chiuso da poche ore il Festival della Tv e dei Nuovi Media edizione 2016. Per molti versi il suo significato è tutto nel nome: tv e nuovi media sono messi uno affianco all’altro ma, come in un timore strisciante nei confronti della continua ibridazione, ad emergere sono stati anzitutto gli attriti che ancora vengono vissuti tra i due mondi. E data l’estrazione media degli ospiti presenti all’evento, la percezione del Web ne è uscita con le ossa rotte.
Accuse meritate per molti versi, accuse gratuite per molti altri; accuse lecite in alcuni casi, accuse insostenibili in altri. E intanto un parterre di ospiti di altissimo profilo ha “educato” il pubblico presente sfruttando una caratteristica molto particolare e di per sé altrettanto indicativa del tenore dell’evento: speech densi, lunghi un’ora circa, senza alcuna possibilità di dibattito. Nessuna interazione, insomma: uno schermo immaginario ha diviso il pubblico dal palcoscenico e tutto si è ridotto ad un “cambiare canale” tra un appuntamento e un altro.
Festival della Tv e dei nuovi media
Leggasi “Festival della Tv ai tempi dei nuovi media”, perché i nuovi media hanno avuto mera funzione di contesto. Scenografia di contrasto, per molti versi. Di qui il potenziale errore del messaggio veicolato al pubblico accorso per sentire i grandi nomi delle prime pagine e dei talk show serali: il Web è il contesto, il tappeto che riempie il palinsesto tra una trasmissione tv e un’altra; il Web è la piattaforma ove misurare il successo di quanto prodotto dalla televisione; il Web è il catino a cui attingere e in cui riversare, mai il luogo ove creare. La centralità della tv non viene messa in discussione mai: come se i Millennials non esistessero, come se nelle mani delle persone vi fossero televisioni e non smartphone.
L’elenco degli ospiti non poteva portare a conclusioni differenti da quest’ultima e di questo non bisogna farne una colpa al festival. Anzi. Il Festival della Tv e dei Nuovi Media è stato per molti versi un piccolo salottino di discussione, un piccolo evento con grandi temi in ballo ed uno schieramento di forze pronto a raccontare il mondo dell’informazione: Rai, Sky, La7, La Stampa, La Repubblica e molti altri i nomi rappresentati sul palcoscenico. Si parla di cose molto serie, non c’è show, non c’è intrattenimento o quasi, eppure il pubblico gremisce le strutture e riempie le vie di Dogliani (CN).
Il vizio di forma è nella rappresentanza offerta al Web: se non si offre paritetica dignità al mondo online, e se non si offre a quest’ultimo la giusta rappresentanza, giocoforza si apre la strada ad una demagogica stigmatizzazione che tutto fa tranne il ridurre il digital divide culturale che attanaglia l’Italia e tiene al palo l’emergere della rete. Un modo forse inconscio (ma interessato) per mantenere lo status quo di strutture antiche che temono l’incedere caotico e travolgente del nuovo? Forse. O piuttosto, con più semplicità, l’evento può essere letto come un certo mondo che racconta sé stesso, semplicemente, come ha sempre fatto. La tv è sempre stata metacomunicazione e non cambierà certo ora: in questo v’è l’esclusione di quel che non è tv ed i social media dovranno cercarsi altri palcoscenici, altri attori e altre occasioni. Dogliani forse non era semplicemente il posto ed il momento giusto.
Eppure, nel nome del Festival, i social media ci sono. Ma sono il nemico.
Web: superficialità e flusso
La tv corre il rischio di diventare flusso, come già lo è il Web: così il giornalista Massimo Giannini sferra quello che tra tutti è forse l’attacco più moderato al Web. Giannini parte da un assunto corretto, poi generalizzato fino alla stigmatizzazione completa di quel che è “Web”: i social media, così come le famigerate “colonna destra”, non fanno nulla per contribuire alla formazione dell’informazione. L’utente si trova così a leggere titoli e poi ad “andare oltre”, senza la minima pulsione a lettura ed approfondimento. Di qui, ribadisce con forza Giannini, emerge la forza di una parola stampata che invece mette nero su bianco i fatti e genera dei punti fermi. I giornali, al contrario del Web, sfrutterebbero l’inchiesta per uscire dal flusso; la tv potrebbe farlo con ancor più forza, ma si lascia spesso prendere dal gioco del mercato e abdica quindi al proprio ruolo (soprattutto laddove la tv dovrebbe essere ispirata dalla missione e dai capitali del servizio pubblico).
Di grande interesse il punto di vista offerto da Sarah Varetto, direttrice di Sky TG 24, la quale sgombra il campo da un dubbio: la rivoluzione in atto non è nel fatto che l’informazione si sia spostata sul Web, ma che i device siano arrivati nelle mani di tutti. La grande rivoluzione è nell’accesso diffuso, che consente a chiunque di accedere a qualsiasi informazione in qualsivoglia momento con gesti semplici e spesso gratuiti. Questo cambio di paradigma ha cancellato la corsa alla notizia rapida ed impone a giornali e tv la sfida dell’inchiesta come nuovo passo verso la qualità. Le inchieste di Sky TG 24, non a caso, fanno scuola: consentono di andare a fondo invece che soffermarsi all’indignazione urlata o alla lite tra politici di bassa lega.
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Le critiche che piovono sulla tv al Festival di Dogliani sono spesso di rimbalzo: il mercato costringe la tv alla superficialità; i politici costringono la tv a talk show di volgare demagogia; un pubblico troppo incostante costringe la tv alla forzatura dei palinsesti. Il Web è invece sempre responsabile primo delle proprie colpe, protagonista dei propri mali: superficialità di approccio, incapacità di approfondimento, ostacoli tecnici continui.
Non si cada nella trappola di incolpare il Festival della TV e dei Nuovi Media, però: l’evento è riuscito e meritevole. E lo spessore degli ospiti non si discute, né i loro sforzi di rendere divulgativa la trattazione di tematiche spesso complesse e di grande impatto sociale. Il problema è più alto e generale, tanto alto da avere ricadute pressoché in ogni ambito: l’Italia della tv, con tutti i suoi meccanismi e le sue sottostrutture, non vuol farsi da parte. L’ibridazione prosegue a fatica perché il Web è ancora visto con timore. La centralità dello schermo televisivo è causa ed effetto di questa distorsione, con un effetto collaterale ulteriore: il Web italiano, raramente in grado di occupare il palcoscenico, ancora non è stato investito del giusto senso di responsabilità che lo possa portare ad una maturazione efficace.
Rimaniamo lenti e impantanati, imbrigliati da meccanismi che non consentono a questi grandi nomi di dare effettivamente il meglio di sé a causa di una zavorra mentale che ci riconduce sempre al “prima serata”, al “prima pagina” e al “il Web vale solo se è virale”.
Ma un giorno cresceremo. Il senso critico di chi partecipa ad eventi come il Festival della TV e dei Nuovi Media non può che aiutare.