Prendere spunto dalle dinamiche che da sempre regolano la vita in natura, per trovare soluzioni ingegnose e innovative da applicare nel mondo reale. È l’obiettivo di un progetto messo in campo da Eni, nell’ambito dell’accordo quadro con CNR e della partnership siglata con il MIT nel 2008, finalizzato allo sviluppo di tecnologie solari e sensoristiche più efficienti, sfruttando le potenzialità offerte dalle conoscenze negli ambiti della fisica quantistica e della biochimica. La ricerca italiana, pubblicata su Nature, rappresenta un passo avanti importante verso un obiettivo di grande ambizione.
Il team in questione ha fatto ricorso all’impiego di antenne fotosintetiche artificiali realizzate nei laboratori del Massachusetts Institute of Technology, ottenute modificando geneticamente la struttura proteica di un virus innocuo, ancorando in determinati punti due tipi di cromofori: donatori (in grado di assorbire la luce) ed accettori (capaci di emetterla). Una manipolazione di questo tipo consente di agire sulla distanza tra i punti di supporto dei cromofori stessi, variando di conseguenza la loro forza di interazione e quindi l’efficienza di trasporto dell’energia di eccitazione.
Si tratta di un processo ispirato a quello della fotosintesi naturale, senza la quale non potrebbe esistere la vita sul nostro pianeta. Nelle piante la luce è catturata da una sorta di “antenna ricevente” proteica e trasmessa mediante una catena di pigmenti (i cromofori, appunto) a quella che può essere definita una “centrale energetica”, dove una reazione la converte in energia biologicamente sfruttabile per la sussistenza dell’organismo.
A rendere particolarmente interessante lo studio, soprattutto in considerazione di possibili sviluppi e applicazioni future, è la sua altissima efficienza:
Mentre il processo fotosintetico nel suo complesso ha efficienze inferiori all’1%, il trasporto di energia sotto forma di eccitazione elettronica ha un’efficienza quasi del 100% anche a temperatura ambiente, di gran lunga superiore a quella delle migliori celle solari.
A sostenerlo sono i risultati ottenuti mediante l’impiego di modelli teorici, basati sui principi della fisica quantistica, secondo i quali l’eccitone (unità energetica) viene creato simultaneamente su diversi cromofori, percorrendo vari cammini in parallelo al fine di trovare quello ottimale che conduce al centro di reazione. In questo contesto, i movimenti molecolari attivi a temperatura ambiente rendono il processo più veloce, anziché ostacolarlo.
Così un responsabile del Centro Ricerche Eni Donegani spiega cosa ha spinto il gruppo a mettere in campo il progetto, finalizzato allo studio dei fenomeni di trasporto quantistico.
Dopo un seminario tenuto dal MIT presso la nostra struttura ci rendemmo conto che tali “sistemi antenna” avrebbero potuto essere utilizzati, con alcune modifiche, per realizzare dispositivi solari ad elevata efficienza, sfruttando lo stesso processo di cattura della luce della fotosintesi naturale.
I risultati dello studio sono stati pubblicati nel mese di ottobre sulla rivista scientifica Nature Materials. Lo studio, intitolato “Enhanced energy transport in genetically engineered excitonic networks”, è stato condotto da una équipe internazionale formata dai Dipartimenti di Fisica e Astronomia e del Laboratorio Europeo di Spettroscopie Non-lineari (LENS) dell’Università di Firenze, dal Dipartimento di Chimica dell’Università di Perugia, dall’Istituto Nazionale di Ottica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (INO-CNR), del centro di ricerca Quantum Science and Technology in Arcetri (QSTAR), dal Massachussets Institute of Technology (MIT) e dal Centro Ricerche Eni Donegani di Novara.
Paolo De Natale, direttore INO CNR, si addentra nella questione fornendo alcuni dettagli tecnici in merito alle dinamiche che regolano il funzionamento delle antenne fotosintetiche artificiali.
Per analizzare il trasporto energetico nei sistemi antenna abbiamo realizzato un esperimento in cui questi vengono stimolati tramite impulsi laser estremamente veloci, che vengono prima assorbiti dalle molecole donatore e poi riemessi da quelle accettore, permettendo così di misurare l’efficienza di trasporto. Per le strutture geneticamente modificate abbiamo misurato una propagazione dell’eccitone due volte più veloce rispetto alle stesse antenne a base di virus non modificato e, di conseguenza, distanze di propagazione maggiori del 67%.