C’è un settore dell’economia della Rete che spesso non viene associato alle startup: il site-building. Nell’era dei prodotti standard, dei template e dei grandi media center, c’è ancora la possibilità di contribuire alla base della digitalizzazione con un tocco made in Italy? Una storia di eccellenza è quella di Flazio, nata a Catania e passata dalle principali competition e seed, fino ad arrivare a uno sviluppo molto interessante.
Flavio ed Elisa Fazio sono due fratelli, e sono anche le colonne portanti di una startup che nel 2012 aveva ancora 4 dipendenti e oggi ne conta 15. Di mezzo, un anno di grande lavoro, partito con i 400 mila euro di investimento di un fondo che ha permesso alla startup, essendo presente a Catania, di non spostarsi e di spostare soltanto il suo prodotto in tutta Italia e anche oltre i confini nazionali. Come si dovrebbe sempre fare quando si lavora nel digitale.
Vincitori di Mind The Bridge e spediti nella Silicon valley, finalisti al Wind Business Factor, segnalati da Working Capital (programma di accelerazione di Telecom Italia) come startup già matura e avviata, Flazio.com sfida i grandi nomi delle piattaforme web con l’arma delle startup: creare un sito con qualità, personalizzazione, tecnologia. «Ci siamo fatti notare coi nostri pitch», racconta Elisa, CEO, «durante i quali costruivano il sito di chi ci ospitava in tre minuti e mezzo, davanti ai loro occhi». Il primo punto di forza del loro lavoro, infatti, è che il sito è davvero fai da te, HTML5, drag&drop, e se si guarda al CompStore non manca nulla, compreso le attività collaterali, come newsletter, e-commerce, mail. Nella versione gratuita, flessibilità e nome su dominio flazio, nella versione premium, con 9 euro al mese, praticamente un sito tutto proprio, remunerativo, indicizzato e social, con il team disponibile in chat.
L’advertising
Della storia di Flazio c’è un altro aspetto interessante, quello che racchiude una sfida destinata a crescere: la pubblicità e il rapporto tra l’utente, il numero di contatti e i ricavi. Quando Flazio ha deciso di introdurre un proprio componente, saltando di fatto Google e facendo propria la lezione dei vari network che negli ultimi tempi stanno nascendo in alternativa al circuito, stava pensando di semplificare la vita ai clienti come per tutto il resto. Il successo dell’iniziativa (+ 300% di contatti) però dice qualcosa di più: forse molti utenti della Rete non aspettavano altro che superare burocrazia e trattenute robuste per gestire direttamente i propri banner. Anche questo è uno dei lati della annosa questione sollevata con la webtax.
Lo racconta lo stesso Flavio (24 anni) a Webnews:
Semplificare il site-building passa dunque anche per l’advertising?
Noi pensiamo decisamente di sì. Il settore sta crescendo di suo, Flazio dà l’opportunità di gestire in autonomia i banner che circolano sul proprio sito e monetizzare grazie a impression e click dei visitatori. Forniamo strumenti analitici e altri servizi come applicazioni, ma nell’unificazione dei servizi dentro il nostro store abbiamo compreso l’advertising.
Così si può coprire il costo del passaggio al premium?
Esatto. Per la società offrire gratuitamente la costruzione del sito comporta comunque dei costi, quindi da parte nostra invitiamo i clienti a mettere banner pubblicitari, perché con quel 10% che tratteniamo, cifra tre volte inferiore a quella di Google, paghiamo i costi. Dal lato utente, potendo coprire i costi dell’account pro ovviamente il passaggio viene stimolato ed è come se fosse comunque gratis, perché il surplus dei ricavi pubblicitari è lasciato al proprietario del sito.
Di Flazio c’è di buono che è tutto made in Italy: è una scelta?
Sì, siamo orgogliosi di essere una startup del mezzogiorno, di aver costruito il nostro store con servizi forniti da partner italiani e italiana è la pubblicità che offriamo sui siti dei clienti. Ora che stiamo uscendo dai confini, in Francia, Germania, anche gli Usa, questo elemento inevitabilmente cambierà, tanto che stiamo già lavorando con i mercati là collocati. Ma flazio è senza dubbio una risposta made in Italy a un settore un po’ condizionato dalle multinazionali, che a nostro parere sono arrivate con investimenti enormi fornendo però servizi scadenti e poca attenzione al cliente.
Domanda a Elisa: chi sono i vostri clienti tipici?
Sicuramente una fetta importante è costituita da PMI e professionisti, ma ormai il site-building è distribuito in tutti i settori e le classi sociali e anagrafiche. Bisogna essere pronti a fornire un servizio adeguato a tutti.
Una scommessa facile: i principali problemi sono farsi notare e la resistenza ai pagamenti online. Indovinato?
Indovinato. Il mercato italiano è molto particolare. Mentre all’estero è più semplice presentarsi col proprio prodotto, in Italia è complicato lavorare senza passaggi intermedi, contratti a rappresentanze di categoria, associazioni. Ci sono i mezzi di comunicazione, ma una startup non può certo programmare investimenti milionari per spot televisivi. Inoltre, non avrei mai creduto che in Italia fosse ancora così difficile convincere i clienti alla transazione online. Le firme di contratti, il passaggio di denaro, sono ancora vissuti come fatti di carta.
E le soddisfazioni?
Molte. Sui numeri abbiamo un vincolo di riservatezza per il fondo di investimento, ma posso dire che stiamo crescendo e ci stiamo sviluppando. Nel 2014 dovremmo entrare nel mercato UK e USA e stiamo studiando l’ingresso nel mercato asiatico.