Il caso iTunes che ha animato la settimana sembra trovare una spiegazione logica e da questa nuova chiave di lettura ne scaturisce anche una certa sequela di conclusioni traibili. Tutto nasce dal noto report Forrester Research secondo cui le vendite musicali di iTunes sarebbero al collasso. Al collasso vanno subito le azioni Apple, con gli investitori preoccupati per il futuro del servizio.
Non passano molte ore ed Apple respinge ogni accusa: discorso sul DRM a parte, iTunes non registra alcun calo. Poche ore ancora e Piper Jaffray corre a mettere una pezza: le sensazioni di Forrester non sono esatte, Apple non corre alcun rischio, iTunes è in piena salute. Le azioni rimbalzano a Wall Street e la quotazione del gruppo torna sui livelli di 48 ore prima.
Oggi è Nielsen SoundScan a tornare sull’argomento, ribadendo ancora una volta come iTunes vada a gonfie vele e non sussista alcun motivo di preoccupazione. Un aspetto più interessante, però, è riferito ai dati Forrester, di cui Josh Bernoff, autore del rapporto, offre una nuova chiave di lettura sul proprio blog, così recuperata da Reuters: «per la precisione, le vendite di iTunes non stanno crollando […] I nostri dati sulle transazioni con carte di credito mostrano un reale calo tra il picco post-vacanze di gennaio e il resto dell’anno, ma con il numero di transazioni che abbiamo contato semplicemente non è possibile tirare questa conclusione…».
In pratica: Forrester avrebbe analizzato i dati tra Gennaio e fine anno senza considerare il normale fluttuare degli acquisti: a Gennaio si vive il picco di iTunes causato dal traino natalizio dell’iPod, mentre a fine stagione si affronta la parte bassa della curva in attesa del nuovo rilancio dicembrino. Il crollo a cui fa riferimento Forrester, dunque, è semplicemente la misura dell’ampiezza di quest’onda ma, non essendo il dato commisurato su due riferimenti omologhi, non è attendibile nella valutazione generale anno-su-anno del music store di Cupertino.
Il caso è formalmente chiuso: il DRM rimane in discussione ma per una motivazione logica e non per reali dati di mercato, Apple può continuare a dormire sonni tranquilli e l’industria musicale può continuare a credere in un investimento che, auspicano le case di produzione, possa compensare la pesante caduta che il settore subisce nella distribuzione tradizionale.