Per far sì che il soggetto inquadrato abbozzi un sorriso prima dello scatto, in fotografia si è soliti suggerire di pronunciare “cheese”. Non è sempre stato così. Anzi, agli inizi del secolo scorso la parola chiave era un’altra: “prunes”. Un suono differente e diversi movimenti del labiale, perché l’obiettivo era sostanzialmente un altro: non immortalare le persone mentre sorridevano, donando al risultato finale un’atmosfera più seriosa e austera.
Nel corso di un secolo è andato trasformandosi il modo di fotografare, fotografarsi e farsi fotografare. Sono evoluti i canoni estetici e comunicativi impiegati per costruire e comporre un’immagine, in particolare quando si parla di ritratti, così come i criteri per la lettura e il giudizio di uno scatto. A questo proposito, è interessante citare lo studio condotto da un team di ricercatori della UC Berkeley, basato sull’analisi di 949 annuari scolastici raccolti in 27 stati USA e risalenti al periodo compreso tra il 1905 e il 2013. Basta dare un’occhiata alla timeline allegata di seguito per capire cosa è cambiato.
La ricerca è stata condotta con l’ausilio delle tecnologie di machine learning, più precisamente un algoritmo che ha passato in esame un totale di 37.921 fotografie per estrapolare informazioni come la posizione degli occhi e l’inclinazione degli angoli della bocca. Sovrapponendo tutte le immagini relative ad un determinato decennio sono stati ottenuti i volti mostrati qui sopra, che di fatto rappresentano “il ritratto medio” di quel preciso periodo storico, mostrando la propensione o meno a sorridere di fronte all’obiettivo (maggiormente presente nelle donne), gli stili di capigliature più diffusi ecc.
Uno studio il cui esito di fatto conferma la teoria della ricercatrice bulgara Christina Kotchemidova, che nella recente pubblicazione Critical Studies in Media Communication sostiene proprio questo: nel corso del XX secolo le persone sono state sempre più inclini a sorridere di fronte ad un’apparecchiatura fotografica, con tutta probabilità a causa dei tempi di scatto che sono andati via via riducendosi e per una progressiva confidenza acquisita con la tecnologia. Non a caso i soggetti iniziano a mostrare il proprio sorriso tra gli anni ’30 e gli anni ’50, quando la fotografia ha iniziato a diffondersi in ambito amatoriale, complici anche gli investimenti pubblicitari a livello globale di realtà come Kodak.
Tornando al progetto della UC Berkeley, l’algoritmo impiegato è in grado di stabilire il periodo in cui è stata scattata un’immagine con una tolleranza di quattro anni nell’11,2% dei casi, basandosi proprio sulle informazioni del viso appena elencate. L’obiettivo è quello di poter utilizzare in futuro lo stesso approccio con un raggio d’azione più ampio, arrivando a coinvolgere archivi fotografici relativi ad importanti eventi storici, movimenti culturali ecc. Una volta portato a termine, lo studio verrà pubblicato sotto forma di database open source liberamente accessibile da tutti, per scopi accademici e non.