Un laptop Apple e 44mila dollari costituscono il risarcimento che Foxconn avrebbe finora concesso alla famiglia e alla ragazza di Sun Danyong, il ragazzo suicidatosi dopo aver ricevuto numerose pressioni dalla società per aver smarrito un prototipo del futuro iPhone. L’indiscrezione giunge dalle pagine del New York Times, testata che nel corso degli ultimi giorni ha condotto alcune indagini sulla triste e ancora misteriosa vicenda avvenuta una decina di giorni fa.
Ai reporter del celebre quotidiano statunitense, un portavoce ha presentato la versione di Foxconn, sottolineando come anche in passato Sun avesse perso altri prodotti creati dalla società per i suoi clienti. L’articolo del New York Times ricostruisce poi gli eventi confermando quanto appreso fino ad ora sulla complessa vicenda. Durante i primi giorni di Luglio, all’impiegato 25enne furono consegnati 16 prototipi di iPhone da consegnare al reparto ricerca e sviluppo, ma il ragazzo ne smarrì uno e fu in grado di consegnarne solamente 15. Un responsabile della sicurezza iniziò a fare pressioni sul ragazzo fino a malmenarlo (accusa fermamente respinta dall’impiegato della security).
«Cara, mi dispiace. Torno a casa domani. Ho avuto qualche problema. Non dirlo alla mia famiglia. Non contattarmi. Ti supplico. Per favore fallo! Mi spiace» scrisse Sun alla sua ragazza la sera del 15 luglio, poco dopo essere stato interrogato dalla sicurezza di Foxconn. Il giorno seguente il ragazzo si sarebbe poi lanciato dal dodicesimo piano di un edificio ponendo fine alla propria vita.
Il caso di cronaca ha destato molto scalpore in occidente, mostrando il lato più duro e a volte cinico della competizione industriale nel ramo della tecnologia mobile, dove le imitazioni e le contraffazioni abbondano. E proprio su questi aspetti fa leva Foxconn per dimostrare come non sia sempre facile tenere a bada i 300mila impiegati che lavorano anche negli stabilimenti di Shenzhen (Guandong, Cina) per grandi società spesso in diretta concorrenza.
Le attività svolte all’interno degli enormi capannoni di Shenzhen sono in parte un mistero, raccontano i reporter del New York Times. La società gestisce il segreto industriale con fare quasi maniacale e non consente a nessun soggetto esterno di visitare le proprie linee di produzione. All’esterno delle aree di assemblaggio trovano spazio uffici postali, banche, dormitori e supermercati: una vera e propria cittadella votata alla costante produzione dei componenti destinati a far comunicare l’Occidente.
In quegli ambienti smisurati, dove il lavoro lascia poco tempo allo svago, si è consumata la tragica storia di Sun Danyong morto per un prototipo smarrito di un iPhone. «Era onesto e modesto. Non avrebbe mai rubato nulla» ha dichiarato il fratello di Sun al quotidiano statunitense, per poi aggiungere: «Mi hanno detto che era molto arrabbiato con Foxconn; lo avevano umiliato e voleva resistere alla società, aveva intenzione di fare qualcosa di grande».
Mentre le indagini della polizia locale proseguono, apparentemente senza grandi novità, in molti si chiedono se gli attuali standard di segretezza industriale imposti dalle società non vadano sensibilmente rivisti. Quante storie simili a quella di Sun si celano dietro un prodotto finito, come uno smartphone, un tablet innovativo o l’ultima versione di un netbook sugli scaffali di mezzo mondo? La fase della concreta costruzione dei nuovi dispositivi viene solitamente nascosta in un processo di rimozione collettiva che interessa le grandi società quanto i singoli consumatori. Le luci della ribalta sono tutte per il prodotto, per i distretti come Shenzhen rimangono solamente le ombre.