Il 25.9% degli italiani è esposto al rischio di furto d’identità: è questa la conclusione a cui è giunta la ricerca “Il Furto di identità: immagine, atteggiamenti e attese dei consumatori italiani” commissionata da Cpp Italia all’Unicri (United Nations Interregional Crime and Justice Research Institute) sulla base dei dati relativi ad una ampia casistica di problemi comprensiva di «clonazione di carta credito, bancomat o telefono cellulare, addebiti per prodotti e servizi anche via Internet non richiesti/consegnati e le adesioni a contratti via Internet o telefono senza saperl».
Molta preoccupazione formale (l’80% degli utenti si dice attento al fenomeno), ma scarsa conoscenza sostanziale del problema: in questa discrepanza sembra racchiudersi l’intero problema di una utenza italiana che recepisce facilmente l’allarme relativo ai pericoli, ma al tempo stesso dimostra una certa inerzia nell’apprendere le modalità per assicurare i propri dati ed evitare le maggiori situazioni di rischio. In caso di problemi, inoltre, il 19% degli intervistati ha ammesso di non aver idea di chi poter contattare per poter agire rapidamente in propria difesa.
Per gli intervistati Internet è considerato, da un lato, un luogo pericoloso, dall’altra è il luogo preferito dove effettuare operazioni potenzialmente rischiose, quali rilasciare proprie informazioni personali, eseguire transazioni economico-finanziarie e scambiare informazioni personali con amici. Meno del 4% degli intervistati dichiara, infatti, di essere molto informato su questo fenomeno dai media
Walter Bruschi, managing director di Cpp Italia, ha commentato i dati emergenti sottolineando quanto la scarsa conoscenza dei problemi possa portare in molti casi ad una nociva diffidenza che rischia di farsi virale: il continuo propagarsi di falsi allarmi e di immotivate preoccupazioni (che una semplice conoscenza dei fatti consentirebbe di affrontare e vagliare con maggior consapevolezza) è infatti ciò che allontana dalle opportunità senza tuttavia far nulla contro i reali pericoli. E ciò, sottolinea Bruschi, «determina un danno a catena per tutto il sistema economico».