Si è tenuta in mattinata la relazione annuale al Parlamento del Garante per la protezione dei dati personali Francesco Pizzetti il quale ha stilato un riassunto dei lavori che l’authority ha portato avanti (soprattutto sotto la spinta iniziale dell’ex-garante Rodotà) delineando inoltre le sfide che l’organismo si prepara ad affrontare per il futuro. Le intercettazioni telefoniche sono state l’argomento che ha sollevato maggiore interesse, ma grande importanza è stata rivolta nel discorso anche alle reti ed alle telecomunicazioni. Così Pizzetti nella sua relazione:
«Le tecnologie si sviluppano con una rapidità inaudita; le relazioni fra gli uomini e i popoli hanno una dimensione globale e una latitudine in cui, senza la mediazione della tecnica, l’orizzonte non è più visibile allo sguardo dell’uomo; il bisogno di comunicare, di raggiungere tutti e ognuno, convive con l’aspirazione ad un’esistenza sicura, posta al riparo da vecchi e nuovi pericoli.
La società della tecnica, già diventata nel secolo scorso una società “a cambiamento veloce”, è divenuta oggi una società “a cambiamento velocissimo”.
La tecnologia può essere un formidabile strumento di libertà oppure causa di inedite differenziazioni sociali. È qui che si colloca il valore fondamentale racchiuso nelle regole e nei comportamenti in cui consiste il diritto alla privacy.
Perchè si deve temere che la carta di credito usata via Internet possa essere clonata o che la rilevazione della targa dell’auto possa essere usata per tracciare gli spostamenti e localizzare le persone? Perchè quando si fa una telefonata, si manda un sms o una e-mail, si accede a un sito Internet, si deve aver timore di essere ascoltati, letti, spiati? Perchè quando si acquista un prodotto si deve aver paura che vi sia chi analizza le nostre scelte per conoscere e profilare i gusti, le preferenze, la stessa capacità di acquisto?
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Il garante ha poi affrontato specificatamente il tema dei motori di ricerca: «tra i provvedimenti più innovativi possiamo ricordare quelli che hanno precisato i limiti e i casi in cui l’utilizzo dei dati biometrici può essere applicato ai lavoratori; il provvedimento generale di inizio d’anno sull’uso delle etichette intelligenti (o RFID) e le successive decisioni relative ai limiti della loro applicazione negli istituti bancari e nei luoghi di lavoro; l’iniziativa – la prima da parte di un’Autorità di protezione dati – assunta nei confronti di Google, al fine di ottenere che le regole della privacy, dalla rettifica dei dati sino al diritto all’oblìo, siano rispettate dai motori di ricerca in Internet, anche quando il gestore sia stabilito fuori del territorio italiano.
L’attività svolta con Google America, peraltro ancora in corso, assume una ulteriore valenza. Essa è un primo passo concreto per introdurre garanzie per gli utenti adeguate alle attuali forme di utilizzazione di Internet. Un passo che stiamo facendo anche con il sostegno delle altre Autorità europee.
Ci guida la consapevolezza che la mancanza di poteri regolatori sovranazionali e la perdurante assenza della tanto necessaria “Costituzione di Internet”, se rappresentano un’espressione della libertà nella rete costituiscono però anche un serio limite ad un’effettiva tutela nel mondo telematico.
È la stessa consapevolezza che ci ha spinto a promuovere sul versante nazionale l’elaborazione di un codice deontologico degli operatori di Internet, che speriamo possa vedere la luce entro l’anno»
Altro tema scottante affrontato negli ultimi mesi è quello relativo alla cosiddetta “data retention“: «l’Unione Europea ha adottato alla fine del 2005 una direttiva […] che comporterà la conservazione di miliardi e miliardi di informazioni, riguardanti aspetti essenziali della vita di relazione di tutti i cittadini europei. Si è calcolato che dovrebbero essere conservati ogni giorno 200 milioni di conversazioni, 300 milioni di “eventi” di telefonia mobile e 2 milioni e 400 mila gigabyte di dati annui solo per la posta elettronica. […] Non è detto che più dati significhino maggior sicurezza. Per questo Governo e Parlamento sono chiamati a verificare l’efficacia di tali misure, tanto più quando, come accade in Italia, i tempi di conservazione sono più lunghi di quelli previsti dall’Unione».