Il Garante della privacy ha adottato i primi provvedimenti in merito alle segnalazioni presentate da cittadini dopo il mancato accoglimento da parte di Google delle loro richieste di deindicizzazione. Dei primi di casi arrivati sul tavolo dei funzionari di Antonello Soro, due hanno mostrato gli estremi perché fossero segnalati a Big G.
A seguito della recente sentenza della Corte di Giustizia europea sul diritto all’oblio è prevista una tutela di secondo grado: i cittadini che dovessero vedere non accolte le loro richieste possono fare istanza all’autorità garante del loro paese. Le segnalazioni e i ricorsi pervenuti al Garante riguardano la richiesta di deindicizzazione di articoli relativi a vicende processuali ancora recenti e in alcuni casi non concluse. Motivo, appunto, del diniego di Google perché coinvolge il sottile confine tra diritto individuale e diritto collettivo alla memoria.
In sette dei nove casi definiti il garante non ha accolto la richiesta degli interessati, ritenendo che la posizione di Google fosse corretta in quanto è risultato prevalente l’aspetto dell’interesse pubblico ad accedere alle informazioni tramite motori di ricerca, sulla base del fatto che le vicende processuali sono risultate essere troppo recenti e non ancora espletati tutti i gradi di giudizio. In due casi, invece, l’Authority ha accolto la richiesta dei segnalanti. Nel primo, perché nei documenti pubblicati su un sito erano presenti numerose informazioni eccedenti, riferite anche a persone estranee alla vicenda giudiziaria narrata. Nel secondo, perché la notizia pubblicata era inserita in un contesto idoneo a ledere la sfera privata della persona.
Numeri gestibili dal Garante, per ora
Al momento presso l’autorità garante della privacy stanno arrivando poche decine di istanze di revisione, nel giro di qualche mese. Il timore iniziale che per i garanti europei ci sarebbe stato del super lavoro è per ora smentito, anche se col tempo probabilmente aumenterà il carico. Notevole l’aderenza delle decisioni di Google con quelle del Garante italiano: due soli casi di decisione controversa, in sostanza richiamata dalle norme del codice deontologico giornalistico che impone di diffondere dati personali “nei limiti dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico” (il che fa dire che invece di Google sarebbe bastato sentire l’Ordine dei giornalisti), fa pensare che la società di Mountain View stia cercando il più possibile di dare atto alla sentenza sul diritto all’oblio secondo i criteri dettati, ma attenta anche a non ledere la libertà di informazione.