La Gran Bretagna ha una politica governativa segreta che giustifica la sorveglianza di massa di ogni utente Facebook, Twitter, Youtube e Google che viva nel Regno Unito. Lo ha rivelato un alto funzionario antiterrorismo, Charles Farr, il direttore generale dell’Ufficio per la sicurezza e antiterrorismo, in una causa legale intentata da Privacy International, Amnesty International, l’American Civil Liberties Union e altre associazioni no-profit per i diritti civili, che con questa informazione sollevano un altro velo di ipocrisia e silenzio che copriva il Datagate.
Le 48 pagine della dichiarazione di Farr consentono di capire la mentalità e il funzionamento della sorveglianza indiscriminata secondo gli schemi di TEMPORA, uno dei primi programmi denunciati da Glenn Greenwald grazie ai documenti di Edward Snowden. Lo spionaggio britannico ha sfruttato la debole e ambigua legislazione nazionale per giustificare le intercettazioni in quanto la attività degli inglesi nei siti delle web company che hanno i server altrove possono essere considerate “attività esterne”, dunque di competenza dell’intelligence.
Distinzione fondamentale, quella tra esterno e interno – come si è appreso in questi mesi anche nelle proposte tedesche e russe di stabilire i server di questi siti nelle rispettive nazioni in cui distribuiscono i loro servizi – perché in molti paesi, compreso l’UK, la separazione regola i poteri di vigilanza degli enti pubblici: se sono comunicazioni interne ci vuole un mandato, altrimenti no. In altri termini: se si comunica dentro è warrant, se si comunica all’esterno è random.
UK intelligence forced to reveal secret policy for mass surveillance of residents’ Facebook and Google use http://t.co/gGYl2aZ8dV
— Amnesty International USA (@amnestyusa) June 17, 2014
Cosa ha fatto il GCHQ
L’intelligence britannica, il GCHQ, corrispettivo della NSA americana, sta intercettando ancora oggi tutte le comunicazioni standard, come le mail, e le comunicazioni inviate tramite piattaforme come Facebook e Google, prima di determinare se essi rientrano nelle categorie “interne” “esterni”. Una situazione incredibile, perché una banale classificazione permette, allo stato attuale, a un servizio segreto di una potenza occidentale di spiare una intera popolazione, con l’unico limite di non poter utilizzare chiavi di ricerca in questi big data che menzionino una persona specifica o una residenza. Ma è ovvio come questo limite sia ben poca cosa rispetto al possesso di questi dati.
Il processo
Per le associazioni che hanno portato in tribunale il governo, si tratta di una testimonianza molto importante, perfettamente in linea con quanto rivelata da Snowden, che in passato ha già testimoniato per la Commissione Europea e per alcune indagini interne e potrebbe testimoniare anche in questo processo. Le dichiarazioni di Eric King, vice direttore di Privacy International spiegano come si intenda procedere: dritti contro il governo e le scelte politiche.
Le agenzie di intelligence non possono essere considerate responsabili dinanzi al Parlamento e al pubblico che servono quando le loro azioni sono offuscate da interpretazioni segrete di leggi bizantine. Inoltre, il suggerimento che le violazioni del diritto alla privacy sono prive di significato se il trasgressore se ne dimentica offende non solo la fondamentale natura inalienabile dei diritti umani, ma il popolo britannico, che non accetta una scusa così ridicola per la perdita delle loro libertà civili.
Michael Bochenek, direttore dell’ufficio legale di Amnesty International:
I cittadini britannici saranno allarmati dal vedere il loro governo intento a giustuficare l’intrusione su scala industriale nelle loro comunicazioni. L’opinione pubblica dovrebbe chiedere la fine di questa violazione, di questa vendita all’ingrosso del loro diritto alla privacy.