Esattamente cinque anni fa Sarkozy, allora a capo dell’Eliseo, proponeva una tassa su Internet. Il problema principale nella testa di tutti i politici era cercare di incamerare un po’ di soldi, di guadagnare dalla presenza degli OTT nella propria nazione. Oggi l’obiettivo della politica europea è completamente diverso: si discute di come multarli e magari fermarli. Stavolta la proposta di legge più strutturata della nuova tendenza proviene dall’altra parte della linea Maginot: il governo tedesco pensa di multare per cifre di decine di milioni di euro i social che non cancellassero nel giro di 24 ore un post o una notizia contenente hate speech o calunnie e falsità.
La si potrebbe definire la versione tedesca della proposta folle italiana di qualche settimana fa, anche se a ben guardare la bozza di legge presentata dal ministro della Giustizia, Heiko Maas, è scritta più seriamente, ma usa i termini di moda, fake news, post-truth, più per convincere l’opinione pubblica dell’urgenza della legge che per il suo vero contenuto. La stretta sui contenuti della pagine di Facebook e altri siti e social network (ma è soprattutto al social di Menlo Park che si riferisce) richiama ancora alla vecchia questione dei contenuti neonazisti e incitanti l’odio che violano una specifica legge federale – simile alla legge Mancino, che però in Italia è poco applicata – e sulla quale c’è una evidente difficoltà del social a rispondere in tempi equivalenti alle rimostranze dei cittadini. Il politico socialdemocratico incarna perfettamente la mentalità allarmistica che in questo momento accende la campagna elettorale tedesca, secondo la quale i social network non prendono sufficienti contromisure e in questo, perciò, sarebbero assimilabili a dei complici.
Cosa dice la legge
Il testo della legge, lo si dica subito per levarsi di torno l’impiccio, è un orrore giuridico figlio dei nostri tempi spaventati e confusi. Nell’ansia di ridurre al minimo le fake news dei populisti e di applicare dei filtri che evitino effetti come quelli della Brexit e della vittoria di Trump – smisuratamente collegati ai social e al fenomeno delle bufale, ma tant’è: ormai è un cliché duro a morire – il ministro ha costruito un testo piuttosto confuso, dove se un post viene giudicato penalmente perseguibile dev’essere cancellato entro 24 ore dalla notifica della denuncia, cioè la segnalazione online, mentre si arriva a una settimana in casi più controversi. Pena in caso non si risponda in questi tempi: anche 50 milioni di euro.
Qui sorge il problema, perché se è accettabile l’idea di ridurre i tempi della cancellazione di un contenuto filonazista (ma non è detto che la soluzione sia responsabilizzare a tal punto una piattaforma, rischiando meccanismi automatici di censura tramite filtri preventivi poco raffinati), è bizzarro l’uso che la bozza fa del termine fake per reinventare categorie e reati già esistenti: la fake news calunniosa, la bufala diffamatoria, eccetera. Passando dal criminale al falso. Ma il falso non è un crimine perseguibile nella stessa misura di un crimine razziale. Come se in Germania non esistessero già leggi sulla diffamazione e la calunnia. Peraltro due reati diversi: nel primo caso si tratta della denuncia falsa presso un’autorità di un reato compiuto da qualcuno che in verità è innocente, sul quale viene caricato una simulazione; nel secondo, si tratta di un’offesa della reputazione altrui, genericamente o per un fatto determinato.
una porcheria immane, ma siccome c'è scritto fake news bene punire i social cattivi.
— Fabio Chiusi (@fabiochiusi) March 14, 2017
Insomma, la preoccupazione politica del governo tedesco per le minoranze euroscettiche è simulata sotto l’aspetto di un testo che riguarda l’hate speech, ma in realtà corre il serio rischio di imporre filtri e rimozioni senza l’ausilio di una parte terza, cioè di un tribunale, arrivando al mostro giuridico di sostenere che quella che dovrebbe essere la prova di una diffamazione debba essere cancellata, pena multe salate, preoccupandosi perciò più della sua replicazione in Rete che della possibilità di punire il colpevole.