Il Parlamento tedesco ha varato una legge destinata a far discutere. L’intento, infatti, è quello di fermare i siti web concerenti immagini relative ad atti di pornografia infantile: per fermare la pedofilia, insomma, il Parlamento ha messo a punto una norma che scarica sugli ISP la responsabilità di filtrare i contenuti sul web sulla base di una specifica indicazione proveniente dalle istituzioni. La legge, però, ha anche un’altra particolare caratteristica: scadrà nel giro di 3 anni.
La norma prevede che vi sia una black list, costantemente aggiornata e gestita dalla Federal Office of Criminal Investigation (BKA), in grado di elencare tutti i siti da mettere all’indice. La lista verrebbe inoltrata agli ISP attivi sul territorio, i quali a loro volta avrebbero il compito di aggiornare i propri filtri per evitare che l’utenza possa accedere al contenuto pedopornografico. Le immediate proteste sollevatesi attorno alla legge hanno però consigliato un approccio progressivo e pertanto la normativa ha previsto una serie di limitazioni in grado di calmierarne l’impatto.
Innanzitutto i siti della black list non saranno subito fermati, ma un semplice avviso ne indicherà la pericolosità pur senza vietarne la visita all’utente finale. Inoltre la legge è dotata di scadenza ed entro 3 anni andrà rivista per non lasciarla andare in scadenza.
Gli argomenti a favore delle associazioni che si sono mosse contro il provvedimento sono forti e note: trattasi di un filtro censorio di difficile gestione, tanto teorica quanto pratica, e molti ISP non avrebbero nemmeno le risorse per stare appresso alle operazioni di aggiornamento previste. La gestione della questione “morale” sarebbe nelle mani di un piccolo gruppo dedicato e interno alla BKA, la quale non ha probabilmente né l’esperienza né le risorse adeguate per un compito similare. Inoltre i contenuti stessi del filtro potrebbero essere nel tempo accresciuti e deviati, così che la pedopornografia non diventi più il fine da combattere, ma solo un mezzo per mettere bavagli al di fuori del progetto originario.
Negli stessi giorni in cui la Cina è sotto gli occhi di tutto il mondo per il caso Green Dam, quindi, in Germania si tenta una via similare basata non tanto su di un software, quanto invece su di una rete di Internet Service Provider i quali sarebbero tenuti a rispondere delle azioni dei propri utenti. Una raccolta firme online immediata ha già messo assieme oltre 130 mila oppositori. La polemica si è organizzata inoltre su Twitter, ove sotto il tag #zensursula si stanno aggregando i molti interventi che si scagliano contro il Ministro per la Famiglia Ursula von der Leyen.
«Se c’è una cosa che non mi dà pace è la violenza e gli abusi sui bambini e il business della pedopornografica, soprattutto su internet. I numeri crescono in modo esponenziale, solo il commercio di fotografie è raddoppiato nello scorso anno. Con una violenza brutale si feriscono anime e corpi di bambini. E i video pedopornografici diventano sempre più violenti». Sono queste parole raccolte a fine 2008 dall stessa von den Leyen e fortemente in linea con talune correnti già manifestatesi anche in Italia. A fronte di un obiettivo di intervento logicamente condivisibile, si assiste però alla messa a punto di modalità pericolose, spesso inutili ed in grado di dar forma ad una piattaforma che potrebbe facilmente estendere i principi della censura di stato all’intero Web nazionale. Così in Cina senza troppi fronzoli, così in Germania puntando il dito contro la pedopornografia, così altrove sulla base del volere delle istituzioni. Le polemiche difendono invece un principio più alto e generale: la libertà di espressione non può essere minacciata da interventi sgangherati i cui rischi sono ben maggiori che non i benefici ottenibili.