Gheddafi è stato catturato ed immediatamente le immagini hanno fatto il giro del mondo. Poco dopo è stato probabilmente giustiziato ed immediatamente il mondo è venuto a conoscenza di quanto accaduto. Il corpo è stato portato in trionfo dai ribelli ed immediatamente il filmato, proveniente da un cellulare, era sulle tv a livello internazionale. Non è questione di giorni, né di ore: in pochi minuti la notizia era già testimoniata, dimostrata. Era già storia, era già documento. E tutto ciò immediatamente.
Immediatamente. Occorre fare appello all’etimologia della parola, però, per capire quale sia il significato autentico della parola. “Immediato”, infatti, nasce da “in” e “medius” e fa riferimento ad un qualcosa di diretto, senza mediazioni. La rapidità del processo, quindi, è soltanto una conseguenza, mentre la natura del concetto è nell’assenza di una tappa intermedia tra l’accadimento e la sua manifestazione informativa. Se in passato un evento del genere sarebbe stato analizzato da redazioni esperte e quindi comunicato solo dopo aver soppesato e filtrato tutte le prove disponibili, ora tale processo è stato bypassato da quella che è la rapidità e la potenza della tecnologia: la notizia arriva grezza, senza mediazioni. Immediatamente.
La cosa non ha solo ovvie conseguenze sulla velocità di diffusione delle notizie, ma ha anche (deleteri?) effetti sulla violenza del messaggio. In questi giorni, infatti, il tiranno è stato mostrato in tutta la debolezza di un feretro fatto oggetto di ogni tipo di vituperio. Il morto è arrivato davanti agli occhi di tutti, nessuno escluso, con primi titoli sui giornali e grandi immagine sui giornali online e cartacei. Il limite del pudore è sceso, a forza, sotto i colpi della tecnologia: non c’è modo di filtrare la violenza delle immagini, infatti, perché la velocità della diffusione istantanea scardina le regole stesse del giornalismo.
La digitalizzazione è velocità. La lentezza della carta, delle foto sviluppate e del mondo offline offriva maggiore spazio per la riflessione, l’analisi aveva maggiori margini temporali. La morte di Gheddafi, quindi, ha raccontato alla storia qualcosa in più della semplice caduta di un tiranno: la morte è stata ripresa con un cellulare, la testimonianza non è passata per il giudizio di un qualsivoglia giornalista e la realtà ha così impattato la pubblica sensibilità senza essere edulcorata da buon senso, regole o pudore. La morte, quando immediata, è peraltro la manifestazione più forte di tutto ciò.
La realtà immediata è così: è dura e vera, è spigolosa e spettacolare. Ma occorre abituarcisi, perché la sensibilità media non è allenata a tutto ciò. L’immediato ha un gusto spesso troppo forte. Che dobbiamo imparare a conoscere, perché non lo si può più evitare.