Un giudice della Corte Distrettuale di Tokyo ha ordinato a bigG di intervenire modificando la funzionalità di completamento automatico delle query (“autocomplete” in inglese), in modo da non suggerire al motore di ricerca correlazioni tra un individuo e un reato. La decisione arriva in seguito alla denuncia di un uomo giapponese che, dopo essere stato processato e assolto per un crimine mai commesso, ha notato il proprio nome associato su Google all’azione illecita di cui non è stato responsabile.
Nella sentenza si stabilisce anche un risarcimento che il gruppo di Mountain View dovrà corrispondere al protagonista della vicenda (rimasto anonimo), pari a circa 3.000 dollari per danni morali. A suo dire, infatti, quanto accaduto ha causato a problemi in ambito professionale, impedendogli di trovare lavoro. Google ha dichiarato di prendere in considerazione quanto deciso, ma di non poter intervenire per due ragioni: la prima è che il comportamento della funzionalità viene gestito in modo del tutto automatico, con i suggerimenti generati dalle query inviate dai navigatori, la seconda riguarda invece il fatto che a gestire il tutto è una piattaforma al di fuori del paese, dunque le autorità giapponesi non possono imporre direttamente alcun cambiamento.
Nel 2012 il motore di ricerca è stato condannato al pagamento di una multa da 65.000 dollari anche in Francia, per ragioni del tutto simili. Anziché trattarsi di un singolo individuo a finire vittima dell’autocomplete è stata in quel caso una compagnia assicurativa, associata dall’algoritmo a termini come “crook” e “con man”, in altre parole “truffatore”. Tornando a quanto avvenuto in Giappone, ora bigG ha la possibilità di ricorrere in appello, ma il problema resta. A chiunque potrebbe capitare di restare coinvolti in una vicenda giudiziaria pur senza responsabilità: è lecito chiedersi se sia corretto continuare ad associare il nome di una persona a un reato che non ha mai commesso, anche dopo la sua completa assoluzione.