Giorgia Meloni vs Rapelay: a volte ritornano

Il Ministro della Gioventù Giorgia Meloni ha duramente contestato il videogame Rapelay chiedendo un intervento censorio per un intrattenimento tanto deleterio. Ma non è un caso nuovo: già nel 2009 il videogioco fu al centro delle attenzioni della politica
Giorgia Meloni vs Rapelay: a volte ritornano
Il Ministro della Gioventù Giorgia Meloni ha duramente contestato il videogame Rapelay chiedendo un intervento censorio per un intrattenimento tanto deleterio. Ma non è un caso nuovo: già nel 2009 il videogioco fu al centro delle attenzioni della politica

Potrebbe sembrare una storia a scoppio ritardato, o più semplicemente l’ennesimo rilancio dopo una battaglia già combattuta. Tutto, ancora una volta, ruota attorno a quel “Rapelay” che ha già fatto discutere la Rete e la politica italiana più volte, con proposte ed emendamenti che hanno fatto capolino in Parlamento fino ad un silenzio rimasto tale per poco più di 6 mesi.

L’ultima puntata vede sugli scudi Giorgia Meloni, Ministro della Gioventù, la quale con un intervento tramite il sito ufficiale del ministero ha puntato il dito contro il discusso videogioco “Rapelay”: «Farò richiesta alla Polizia Postale e delle Comunicazioni di intervenire presso i gestori che attualmente offrono la possibilità di scaricare da internet Rapelay, affinché rimuovano il gioco dalla rete». Sono queste parole enunciate in occasione del Safer Internet Day, ma destinate a lasciare uno strascico che va oltre l’iniziativa internazionale per la consapevolezza nell’uso dello strumento informatico. Continua la Meloni: «Sempre alla Polizia Postale chiederò di valutare e segnalare alla Magistratura ogni eventuale ipotesi di reato. È intollerabile che materiale di questo genere possa circolare liberamente ed essere lasciato a portata di “clic”, a disposizione di tutti, giovanissimi compresi. Il messaggio che il videogioco lancia è semplicemente aberrante. È inutile nascondersi dietro un dito, sostenendo che chi gioca ad un videogame come questo non resterà condizionato a commettere lo stesso crimine nella vita reale. Non è infatti questo il punto. Il vero rischio, certamente più concreto, è che prodotti come questo erodano la consapevolezza dei ragazzi circa la gravità di atti criminali tanto aberranti».

La Meloni contesta nel merito il contenuto del videogioco, nel quale lo stupro diventa il valore su cui calcolare il punteggio per il raggiungimento della vittoria finale: «Lo stupro, quando diventa un “gioco”, smette di indignare, di scuotere le coscienze e colpire gli animi. Diventa consuetudine, banalità, quotidianità: e questo è assolutamente intollerabile. L’abitudine alla violenza genera insensibilità verso di essa, e fa sì che non ci sia più alcun impulso a combatterla». La Meloni non cerca però nuove soluzioni legislative, ma chiede di valutare la possibilità di applicare le normi esistenti ad un caso che ciclicamente torna a riproporsi.

A questo punto occorre però rivangare il passato. Era il Maggio del 2009, infatti, quando il senatore Gianpiero D’Alia (UDC) contestava il modo in cui una sua proposta venne affossata per il modo in cui portava avanti un provvedimento per la censura della Rete. Il gioco, infatti, è stato messo al bando ma continua a rimanere disponibile in Rete, ed è su questo che si accese lo scontro tra chi riteneva corretto un atteggiamento oltranzista e censorio, contro quanti preferivano evitare polveroni e garantire piuttosto il fatto che una sgrammaticata censura non comportasse limitazioni alle libertà personali. Contestava D’Alia indignato: «Con la mia norma contro l’istigazione a delinquere in rete, lo squallido videogioco Rapelay, dove vince chi stupra di più, sarebbe stato immediatamente bloccato: invece, grazie all’onorevole Cassinelli e alla maggioranza, che hanno emendato la mia proposta dal pacchetto sicurezza per paura di scomodare qualche lobby, questo videogioco resterà a disposizione di grandi e piccini ancora per lungo tempo».

Ai tempi le contestazioni dell’on. Cassinelli non entravano nel merito della bocciatura di Rapelay (universalmente messo all’indice), ma si contrapponevano al modo in cui la proposta D’Alia prevedeva la possibilità di filtrare i siti web in cui comparissero istigazioni a delinquere o apologie di reato: «Eliminando l’articolo 60 non abbiamo accontentato alcuna lobby, ma abbiamo evitato che l’Italia si facesse deridere dal mondo per l’introduzione di una norma giuridicamente e tecnicamente raccapricciante, che avrebbe soffocato lo sviluppo della rete ed inchiodato il nostro Paese ad un futuro retrogrado». A distanza di mesi il caso Rapelay torna a riproporsi. E non è detto che non possa rivangare anche vecchie proposte, vecchie tentazioni e vecchi scheletri precedentemente affossati con voto unanime della Camera.

Ti consigliamo anche

Link copiato negli appunti