Se si vuole provare ad immaginare quale futuro abbia il giornalismo, perché non chiederlo anche a chi incarna il futuro stesso? Al festival di Perugia non si sono solo ascoltate le parole di tanti esperti di tutto il mondo sulla professione e i tanti aspetti e problemi che comporta l’essere giornalisti oggi, ma hanno avuto spazio anche cinque giovani ragazze dei cinque paesi più popolati, le economie più avanzate d’Europa. La scholarship ideata da Amazon per il festival è stata una scoperta: i ragazzi nativi digitali hanno nostalgia dei vecchi mezzi di comunicazione e rimproverano al web di correre troppo a scapito della qualità.
Francesca Candioli, laureata in “Cooperazione internazionale, tutela dei diritti umani e dei beni etno-culturali” all’Università di Bologna; Arièle Bonte, studentessa in giornalismo alla Facoltà di Scienze Politiche a Parigi; Leticia Dìaz, frequenta il corso di laurea in Giurisprudenza alla Universidad Nacional de Educación a Distancia; Theresa Lindlahr, studentessa di Lettere, Storia dell’Arte e Media alla Konstanz University e anche membro del Parlamento Europeo Giovani; Rebecca Sian Wyde, studentessa presso l’Università di Durham.
Queste cinque ragazze (en plein femminile che non è passato inosservato) sono arrivate a Perugia coi loro pensieri in duemila parole che hanno convinto La Stampa, Le Monde, El Pais, Die Welt e il Guardian a segnalarle ad Amazon, che si è incaricata di portarle a Perugia e permettere loro l’esperienza di frequentare uno dei più bei festival del mondo, quello che riguarda la professione che sognano (forse) di fare, e di conversare col direttore Mario Calabresi e Russ Grandinetti, responsabile mondiale dei contenuti di Kindle, habitat dove nel mese di maggio i loro cinque saggi verranno pubblicati come ebook.
Su @la_stampa i saggi vincitori sul "Futuro del Giornalismo" #IJF15
In italiano: http://t.co/UsghSy2fjq
In inglese: http://t.co/3sK2SqOrLq— Gianluca Di Tommaso (@gditom) April 17, 2015
Le cinque ragazze hanno scritto elaborati piuttosto originali, dove campeggia la domanda se possa esistere un modello di business in grado di sostenere le loro ambizioni. Calabresi si è complimentato con le ragazze, ed ha anche criticato i toni a volte eccessivamente pessimisti. «Soprattutto nel saggio di Francesca», ha spiegato, «dove credo lei abbia sentito tutto il peso del nostro paese sulle spalle».
Hanno impressionato positivamente l’attenzione di Rebecca per il linguaggio, l’idea di Leticia che la rete abbia avvicinato le persone a tal punto da rendere improduttiva ogni opacità, la carrellata storica di Theresa, che nel suo saggio parte da Gutenberg e arriva a Internet evidenziando una discrepanza qualitativa tra user generated content e qualità dell’informazione riportando al centro la professionalità e la serietà del lavoro giornalistico, il giornalismo come engagement immaginato da Arièle e infine il pamphlet di accusa di Francesca, che ha puntato sul giornalismo free lance distruggendone il mito e ricordando che il lavoro sottopagato deteriora la qualità dell’informazione.
La voglia di scommettere, l’assenza di maestri
Dal panel sono emersi due fattori: una conoscenza accademica della professione giornalistica e meno pratica, tranne qualche eccezione; con esso anche una forte espansività, spinta dal desiderio sincero di dare voce agli altri e non a sé stesse. Per queste giovani europee di 20-25 anni il giornalismo è ancora romanticismo e la frase di Theresa, secondo la quale «in molti lavori ci si vende e basta, mentre nel giornalismo c’è un’idea di responsabilità» fa riflettere quelli coi capelli bianchi come solo i ragazzi riescono a fare.
Il resto è solo un po’ di paura, di come farcela, di dove prepararsi, come sopravvivere facendo giornalismo, che secondo Francesca è ancora il lavoro più bello del mondo ma per il quale non vale la pena mettere in gioco la propria vita. C’è anche quel tipico conservatorismo di ritorno dell’ultima generazione sempre convinta che quella precedente disponesse di mezzi e fortune superiori o migliori, o più umane. Convinzione quasi sempre infondata. E si sente anche l’assenza di punti di riferimento, di maestri da copiare, a cui ispirarsi: forse la vera ragione della loro confusione, più della crisi economica.
Insicurezze sulle quali sia Grandinetti che Calabresi sono intervenuti con l’ottimismo di chi è riuscito a ottenere grandi risultati personali e ha fiducia nella tecnologia, e con l’attenzione di chi ha capito in quel momento che non erano loro a regalare una bella esperienza alle ragazze, ma probabilmente il contrario. Il suggerimento finale di Calabresi è un mantra che ripete spesso, vale senza dubbio per la generazione dei millenials:
Dovete essere figlie del vostro tempo. Oggi sono richieste molte competenze a una giornalista, dalla scrittura social, ai video, alle immagini, ma sono competenze che voi utilizzate nella vostra vita quotidiana. Diventate molto brave a fare questo e troverete il vostro mercato.