Un giornalista giapponese, rapito in Afghanistan, è riuscito a mettersi in contatto col mondo e a farsi liberare grazie a un paio di tweet. Questa è la strana vicenda di Kosuke Tsuneoka, ostaggio per cinque mesi di un gruppo di terroristi nel nord del paese, finché uno di loro non gli ha chiesto di insegnargli a usare il suo nuovo smartphone.
Quando ormai nessuno sperava più di ritrovarlo, il 3 settembre appariva un messaggio sul suo profilo Twitter: “Sono ancora vivo”. Pochi minuti dopo, un altro messaggio, più preciso, dove spiegava di essere ad Archi, in Kunduz, nella prigione del comandante della zona.
Come ci è riuscito? Lo spiega lui stesso dopo essere stato liberato dagli stessi militanti islamici.
Il più giovane di questi sequestratori era orgoglioso del suo nuovo Nokia N-70 e voleva gli insegnassi a guardare il sito di Al Jazeera. Allora ho detto loro che c’è una cosa chiamata Twitter. Mi hanno chiesto di mostrare cosa fosse, perciò ho mandato i due messaggi con il telefono di fronte a loro. Nessuno capiva l’inglese, ero certo che non si sarebbero mai accorti che li stavo fregando.
In realtà i parenti e i colleghi, oltre allo stesso governo giapponese, erano increduli, e hanno pensato che qualcuno si fosse impossessato della password e avesse fatto uno scherzo di cattivo gusto. Perciò, incredibile a dirsi, non è stato grazie a questi tweet che si è salvato.
Quasi inspiegabilmente, il giorno successivo è stato portato in auto in un villaggio vicino, da dove alcuni funzionari lo hanno portato a una vicina autostrada per Kabul. Dalla capitale ha contatto il suo paese ed è tornato a Tokio.
Prima di lasciarlo, i sequestratori gli hanno detto di averlo liberato perché nel 2000 si è convertito all’Islam. Questo nonostante in quei cinque mesi non avesse mai pregato né avessero parlato della sua conversione. In ogni caso, il governo ha assicurato di non aver pagato alcun riscatto.
Il giornalista ha raccontato che mentre il tempo passava, e non vi era alcun segno che stavano per ucciderlo, ha cominciato a pensare che potesse sopravvivere e guadagnare la libertà.
Anche se è stato frustrante non sapere nulla del mio destino, la paura della morte a poco a poco è svanita e mi sono sentito meglio.
Da qui, forse, la freddezza necessaria per scrivere quei due tweet, per far sapere che lui era ancora vivo.
Tsuneoka è convinto che il gruppo non fosse composto da talebani, ma da soldati afghani corrotti, desiderosi di guadagnare con un riscatto. Indovinate dove l’ha scritto? Esatto: un messaggio sul microblogging.