Oggi, 27 gennaio, è la Giornata della Memoria. Se ne parla fin dal primo mattino (nonché dai giorni passati, a causa di alcuni tristi episodi). Sul Web e nelle edicole è tutto un moltiplicarsi di articoli ed iniziative, interviste e gallery fotografiche, materiale a profusione per celebrare degnamente una giornata che merita rispetto per tutto quel che l’Olocausto è stato e ha rappresentato. Tuttavia occorre risalire al significato profondo delle parole, soprattutto oggi. Perché è sul termine “memoria” che è necessario riflettere, prima di passare oltre ed aspettare che il 2015 porti sul calendario una nuova “Giornata della Memoria” da snocciolare come una perlina di un infinito rosario.
Cos’è la memoria
La “memoria” è probabilmente l’istituzione che più di ogni altra è stata messa in discussione con l’evolversi della cultura e della tecnologia. L’innovazione ha infatti messo a disposizione dell’uomo risorse di enormi potenzialità, cose che soltanto fino a pochi decenni prima non erano nemmeno immaginabili. Se la generazione precedente ha vissuto da protagonista un’era nella quale la memoria era tutto ciò che è stato trascritto su carta stampata, la generazione che sta arrivando ha una nozione completamente differente della medesima parola. Oggi, infatti, “memorizzare” significa archiviare all’interno di entità non sempre definite, ma comunque in grado di preservare grandissime quantità di informazioni. Rispetto al passato, a parità di contenuto, cambia la tangibilità del contenitore: dal libro si passa all’hard disk e dalle biblioteche si passa alla server farm. In entrambi i casi la memoria è garantita dalla ridondanza: le molteplici unità garantite con l’invenzione di Gutemberg prima, la capacità di replicare i file su più destinazioni ora che i bit vanno a sostituirsi ai volumi. Una cosa è però fondamentalmente diversa: noi.
Se prima l’uomo era incoraggiato ad immagazzinare quante più nozioni poteva, poiché era difficile ed oneroso andarle a ricercare all’interno di un indice troppo grande e troppo disordinato quale quello librario, oggi l’uomo tende a delegare la memoria in parte ai server di storage, e in parte all’incredibile capacità di ranking dei moderni motori di ricerca. Non a caso la parola “memorizzare” è stata nel tempo sostituita dalla parola “salvare”: come se la cosa più importante fosse l’assoluta necessità di preservare dall’oblìo, in attesa che altri strumenti deputati ad altre funzioni trovino presto o tardi il modo di estrarre dagli archivi quanto utile al momento opportuno. La scissione tra archivio dell’informazione e reperibilità della stessa prende forma con l’imporsi del computing, e formatta poco alla volta su questa struttura anche la forma mentis delle persone.
Stiamo diventando simbiotici con i nostri strumenti informatici. Siamo diventati dipendenti da essi. Il cervello umano si sta adattando alle nuove tecnologie di comunicazione.
Così Betsy Sparrow, professoressa dei Dipartimento di Psicologia della Columbia University, descriveva nel 2011 il cosiddetto “effetto Google“, ove la presenza del colosso di Mountain View nel nome indica semplicemente l’evoluzione culturale che l’attuale sistema di gestione della conoscenza ha maturato. Pur errando a nostro avviso nella sostanza della riflessione, anche Eugenio Scalfari ha meritevolmente ripreso tale ragionamento: nel definire superficialmente “ignoranti” gli utenti del Web, il giornalista ha evidenziato però una tendenza in atto, ossia quella di esternalizzare la responsabilità di memorizzare le informazioni.
Come cambia la memoria
Se dunque l’uomo ha “perduto” la memoria poiché tende ad affidarla ad entità tecnologiche di maggior capacità d’archivio, come ricade il tutto sul concetto di “memoria” e cosa significa per iniziative quali la “Giornata della Memoria”? Pensarci oggi è fondamentale, poiché sono questi gli anni nei quali una transizione storica sta per avvenire. Nel giro di poco tempo la terra rimarrà priva del racconto diretto dei superstiti dei campi di concentramento ed al tempo stesso i nuovi revisionisti inizieranno a cavalcare le proprie convinzioni con una moltiplicazione di informazioni fasulle, tendenziose, strumentali e tuttavia utili a far volume pur di farsi ascoltare. Entro il prossimo decennio la memoria sarà messa realmente alla prova: l’uomo sarà davvero in grado di ricordare, oppure la “Giornata della Memoria” rimarrà una perlina da snocciolare, ma non più in grado di toccare le coscienze?
Occorre muoversi ora, perché in ballo v’è la capacità da parte delle prossime generazioni di guardare e interpretare il passato. La “memoria”, infatti, non andrà perduta, ma potrebbe andar perduta la capacità di ripescare con logica e consapevolezza le giuste nozioni dalle giuste fonti. Potrebbe cambiare in modo fondamentale la capacità di cercare nel passato non affidandosi solo agli algoritmi, ma anche al cervello. Nel momento in cui l’uomo delega la memoria a strumenti terzi, deve in parallelo compensare le proprie capacità di ricerca ed elaborazione, poiché l’intelligenza non può e non deve ancora essere delegata ad alcunché al di fuori della materia cerebrale. Questa priorità non va perduta: lo strumento deve essere al servizio dell’uomo e non viceversa, altrimenti gli effetti potrebbero essere nefasti. Non sia un Pagerank, insomma, a guidare i click del futuro, ma siano i click del futuro a guidare ancora e sempre il valore di un Pagerank.
L’idea della memoria come un libro scritto o una fotografia non ha più motivo d’essere: la memoria è oggi materia viva, fatta di connessioni e link, di strutture che si reggono non sull’istituzione del loro supporto, ma nella loro capacità di rinnovarsi e confermarsi anche al di là del tempo e dello spazio. Non ha alcuna utilità depositare materiale ulteriore di una storia che è già stata scritta: occorre semmai spendere risorse affinché questa storia sia raccontata e perpetrata, rimanga intatta e non venga inquinata.
La Giornata della Memoria che verrà
Se l’uomo ha deciso di esternalizzare la propria memoria in favore di strumenti terzi di archivio, l’uomo non ha ancora invece delegato la propria “RAM”: è l’uomo, ancora l’uomo, a dover cercare le giuste risorse all’interno dello storage, a prescindere dal fatto che sia nella stessa scatola cranica, in un hard disk vicino o in un server lontano. La “Giornata della Memoria” del futuro servirà per rinsaldare i gangli su cui la memoria stessa dovrà viaggiare; la “Giornata della Memoria” del futuro dovrà verificare che quanto accaduto continui ad essere testimoniato, capito e interpretato nella giusta maniera, così che la consapevolezza sia autonutrimento della cultura dei popoli.
La Giornata della Memoria del futuro dovrà incidere su un nuovo tipo di memoria, più intima e meno superficiale: sempre memoria è, ma cambia la sua struttura, la sua natura, le sue risorse, la sua disponibilità. La Giornata della Memoria che verrà dovrà quindi verificare che le coscienze siano realmente toccate e chiamate a rispondere al loro dovere: capire, ricordare e testimoniare. La Giornata della Memoria che verrà sarà sempre più importante, poiché avrà un ruolo fondamentale nel certificare, tramandare contestualizzare e rielaborare con le giuste metodologie: sarà il richiamo annuale al nutrimento di una memoria viva ed attuale di quanto la storia ha scritto in passato. «Ricordate che questo è stato» significa che occorre richiamare alla memoria quanto accaduto. Ovunque sia la memoria. E qualunque cosa sia diventata.