Diceva un famoso politico che a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. Forse potrebbe valere anche per il bisticcio più clamoroso dell’anno, quello fra Google e Facebook, scoppiato per la portabilità degli account. Il clima improvvisamente sorto tra i due colossi è talmente pesante che qualcuno comincia a sospettare sia soltanto il riscaldamento prima del match. E il match si chiama Google Me.
A suggerirlo è un post breve ma acuto di AllFacebook e una volta letto è difficile non mettere in fila una serie di fatti, guardarli a ritroso e giungere alle stesse conclusioni.
In questi ultimi mesi si sono sprecate le occasioni in cui il CEO Eric Schmidt ha più o meno velatamente pungolato Mark Zuckerberg sui dati contenuti nel suo social network: prima sottolineando come Google avrebbe in ogni caso trovato il modo di catturarli, poi cercando un accordo che non è arrivato.
Il giovanotto di Palo Alto, dal canto suo, non hai mai risposto direttamente, assillato dai soliti problemi sulla privacy, per poi stringere un patto prima con Skype poi con Microsoft e il suo motore di ricerca, Bing.
Ultimo arrivato in ordine di apparizione, il caso dell’esportazione dei dati dal social a GMail (e viceversa), scoppiato dopo che Google (notare come è sempre BigG a fare la prima mossa) ha deciso di impedire l’esportazione dei contatti di GMail su Facebook. Il quale ha reagito trovando una soluzione.
Google non può farci nulla, ma è arrivato persino a creare un avviso terrorizzante ai suoi utenti per spiegare loro come non esiste reciprocità tra le due società invitando gli utenti GMail a non esportare i contatti.
Possibile che sia solo una battaglia di principio? Secondo alcuni ben informati, Google Me, il progetto di social network di Google, coperto dal mistero, potrebbe essere più vicino di quanto pensiamo. E basta seguire il dibattito sulla blogosfera per capirlo.
Il core business di Facebook è stato fino a oggi imperante, ma i casi di Brasile e India dimostrano come nessuno è imbattibile. Finite le schermaglie, potremmo essere vicini ad assistere alla più cruenta battaglia della storia del Web 2.0.