La Silicon Valley è insorta dopo la firma del cosiddetto MuslimBan da parte del neoeletto presidente USA, che di fatto impedisce l’ingresso negli Stati Uniti a immigrati e rifugiati provenienti da sette paesi: Iraq, Siria, Iran, Sudan, Libia, Somalia e Yemen. Tra le voci della protesta, anche quella di Google, che oltre ad esprimere il proprio dissenso ha deciso di agire in modo concreto, approntando un fondo d’emergenza a sostegno delle organizzazioni che si occupano di immigrazione.
Il gruppo di Mountain View ha messo a disposizione un totale pari a 4 milioni di dollari, la metà sborsati direttamente dall’azienda e l’altra metà raccolti su base volontaria tra i dipendenti. Aggiungeranno la loro quota anche i dirigenti, con Sergey Brin che ha già espresso di persona il proprio dissenso manifestando all’aeroporto internazionale di San Francisco e Sundar Pichai attraverso i propri account social. Il denaro sarà messo al servizio di quattro associazioni: la American Civil Liberties Union, l’Immigrant Legal Resource Center, l’International Rescue Committee e la UNHCR.
Altri nomi importanti del mondo hi-tech si sono attivati per offrire il proprio sostegno alla causa: tra questi, Brian Chesky di Airbnb ha offerto ospitalità gratuita agli aventi bisogno e i vertici di Lyft hanno dichiarato di voler finanziare con un milione di euro in quattro anni l’attività della American Civil Liberties Union, definendo senza troppi giri di parole la decisione di Donald Trump come “antietica”.
Nel corso del fine settimana Trump ha chiuso le frontiere del paese a rifugiati e immigrati, etichettando inoltre le persone provenienti da tutto il mondo in base al loro territorio di provenienza. Impedire a qualcuno di entrare negli Stati Uniti in base alla sua fede, al suo credo, alla razza, all’identità, alla sessualità o all’etnia è antietico sia per Lyft che per i valori fondanti della nostra nazione.