Chiunque abbia effettuato negli ultimi anni una registrazione ad un sito Web, ad un social network o ad un qualsiasi altro servizio online, conosce bene in cosa consista il sistema CAPTCHA.
Si tratta, in parole povere, di un campo di testo in cui digitare una o più stringhe alfanumeriche riprodotte, in maniera distorta, all’interno di un’immagine mostrata a video, al fine di combattere spam e phishing.
reCAPTCHA, piccola azienda di Pittsburgh ha avuto un’idea geniale: utilizzare, al posto di lettere e numeri generati dal calcolatore, i frammenti delle scansioni di vecchi libri e quotidiani, già degradati dal passare del tempo.
In questo modo si ottiene un testo difficile da riconoscere per i bot che sfruttano tecnologie OCR (riconoscimento ottico dei caratteri), ma decifrabile dall’occhio umano.
Al tempo stesso è anche possibile far sì che i CAPTCHA compilati finiscano con l’istruire un algoritmo al loro riconoscimento.
Ecco perché Google si è interessata a tale tecnologia, tanto da arrivare ad acquistare l’azienda e il suo intero team.
Oltre a poter ulteriormente migliorare l’affidabilità dei suoi sistemi di protezione, bigG intende sfruttare quanto ideato da reCAPTCHA nel processo di digitalizzazione dei milioni di libri che ancora non hanno trovato posto nel database del progetto Google Book Search.
Sicurezza e accessibilità quindi, nell’ottica dell’acquisizione, che oltre all’adozione di contromisure più efficaci contro spam e altre pratiche fraudolente, potrà rendere disponibili milioni di testi anche a chi, come nel caso di persone ipovedenti, incontra problemi nella lettura del testo contenuto in immagini o scansioni.