Si torna a parlare delle accuse di no-poaching mosse nei confronti di alcuni giganti del settore tecnologico, tra cui figurano anche Google, Apple, Intel, Adobe, Pixar, Intuit e LucasFilm. In estrema sintesi, le società coinvolte avrebbero stretto accordi segreti in modo da non assumere i reciproci dipendenti, mantenendo così bassi gli stipendi e ponendo un freno alla libera concorrenza. La pratica non è ovviamente consentita dalla legge ed è intenzione del giudice californiano Lucy Koh fare luce su quanto accaduto.
Un aggiornamento sulla vicenda pubblicato da Bloomberg parla di una convocazione ufficiale per Tim Cook, chiamato a pronunciarsi sulla questione come persona informata dei fatti. Da alcune delle email depositate come prova si evince che Steve Jobs era tra i destinatari dei messaggi attraverso i quali si è stretto il patto. Cook, all’epoca Chief Operating Officer della mela morsicata, secondo Koh difficilmente non ne è stato messo a conoscenza. A nulla sono valse le obiezioni di George Riley, avvocato Apple. Il 20 febbraio sarà invece il turno di Eric Schmidt, mentre Paul Otellini (CEO di Intel) si presenterà per fornire la propria versione entro la fine di gennaio.
Il giudice si è detto deluso dal comportamento degli uomini chiave delle aziende coinvolte, che non si sono presentati per deporre prima dell’udienza di ieri. Nella disputa sono incluse differenti categorie di lavoratori i cui compensi, come sostenuto dai rispettivi legali, sono stati ridotti a causa degli accordi in questione.
Stando alle ricostruzioni, le prime due aziende che hanno concordato il no-poaching sarebbero state Apple e Adobe, impegnandosi nel 2005 a non assumere il personale dell’altra società. Lo stesso sarebbe avvenuto nel 2006 tra la mela morsicata e Google, mentre l’anno successivo tra il gruppo di Cupertino e Pixar, oltre che tra bigG e Intel. Il tutto è stato portato alla luce nel 2010 dalla denuncia di alcuni dipendenti.