Non vorrei aver ?gufato? ma quanto da me predetto qualche tempo fa, pare essersi verificato: Google Apps è andato down martedì 17 giugno, trascinando con sé tutte le applicazioni ospitate sulla piattaforma di Google.
Oggi tutta la rete ne parla e tutti scoprono che il Cloud Computing fatto in quel modo non è certo la panacea che tutti aspettavamo, dato che da un momento all?altro ci si può ritrovare con la propria applicazione mission critical down senza poterci fare assolutamente nulla.
L?esternalizzazione delle risorse hardware, fenomeno tipico del Web 2.0 che ha favorito la nascita di tante startup dato che ha annullato la barriera all?ingresso dei costi fisici, ha però il difetto di doversi affidare completamente ad altri. Se questi ?altri? hanno un problema, l?abbiamo anche noi.
Inutile dire che quando questi ?altri? ci offrono il servizio gratis (o quasi), noi possiamo pretendere ben poco da loro e a nulla valgono lamentele o proteste.
Il Cloud Computing è quindi da buttare? Assolutamente no! Il Cloud Computing è certamente il futuro, ma questi campanelli d?allarme devono far capire che il successo di questo nuovo modo di ospitare dati e servizi può funzionare solo se è distribuito su una rete ridondante, così che se un?unità va down, il servizio può cmq continuare perchè replicato specularmente in tempo reale su altre macchine.
Del resto quanto ho appena finito di descrivere non è altro che il funzionamento della rete internet. Il problema è che ora i costi per strutturare una rete così sarebbero troppo alti (e finirebbe la pacchia del tutto gratis), ma a breve dovremmo arrivare a ?break even? e poter costruire solide reti di Cloud Computing.
Fino ad allora ripeto il mio suggerimento di Aprile: usate i servizi gratuiti o semi-gratuiti per sperimentare, ma andate in produzione solo su sistemi più affidabili.