Google imprime un’improvvisa svolta alla guerra che sta combattendo per difendere la propria proposta di accordo per chiudere la class action contro Google Books. Google, infatti, ha improvvisamente aggiunto una piccola fondamentale postilla al proprio piano d’azione, incontrando però immediato scetticismo tale da rigettare immediatamente il caso nella confusione.
La proposta viene da David Drummond, Chief Legal Officer Google, in occasione dell’audizione “Competition and Commerce in Digital Books” presso la House Judiciary Committee (pdf). Drummond ha spiegato i motivi che sorreggono la volontà di Google di digitalizzare i libri e sbloccarne la conoscenza a beneficio degli utenti, intravedendo in questo meccanismo una importante occasione commerciale e strategica. Ma la novità è nel fatto che Google ha di fatto esteso alla concorrenza il proprio archivio. In parte, infatti, i libri sono già ottenibili praticando la stessa opera di digitalizzazione già portata avanti da Google; per quanto concernente quelli fuori pubblicazione (compresi nella proposta di patteggiamento avanzata), invece, Google si dice disponibile a mettere a disposizione il materiale ottenuto autorizzando l’intera concorrenza in qualità di reseller (e lasciando a questi ultimi la fetta maggiore della torta).
Così facendo, quindi, Google conta di smontare le accuse relative al monopolio su parte dei libri digitalizzati, smorzando così il polverone sollevatosi sulla proposta. Anzi: secondo Google l’accordo è in grado di facilitare la risoluzione di una controversia altrimenti complessa, sbloccando così le conoscenze contenute nei libri in questione ed avanzando una via praticabile non solo da Google, ma dall’intera concorrenza.
La proposta è stata immediatamente rigettata: Amazon, pur senza argomentare ancora la propria scelta, ha subito respinto l’idea. Non poteva essere altrimenti, peraltro: accettare di diventare rivenditore significa giocoforza favorire l’accordo che porterebbe i libri “out of print” nell’archivio di Google Books. La questione di principio, dunque, non viene messa in discussione: Amazon si oppone al modo in cui Google ha agito e chiede che l’accordo da 125 milioni di dollari non possa vedere la luce.
Dalla parte di Google, oltre ad una parte degli editori ed il supporto della Sony, si schiera anche il mondo degli ipovedenti. La scannerizzazione dei libri, infatti, è la via in grado di abilitare la lettura a chi questo tipo di pratica è impedita a causa della cecità. Opporsi a Google a questo punto del lavoro significa procrastinare nel tempo, o addirittura bloccare, un’opera che potrebbe invece offrire nuove opportunità a quanti se le son viste negate dal destino. Chi si oppone all’opera di Google, quindi, avrà il dovere morale di offrire una alternativa solerte: quello che per alcuni utenti è un valore aggiunto, infatti, per altri è un valore assoluto.
La pressione di Google sulla Corte è ovviamente alta: «Ho sentito molti suggerimenti per migliorare questo accordo, alcuni diametralmente opposti. Ma il ruolo del giudice è di approvare o respingere. Se respinge, le parti torneranno alle proprie posizioni opposte […] perdendo la possibilità di aprire alla rete le informazioni contenute nei libri fuori stampa». Così come Microsoft chiede alla Corte di esimersi dal dover decidere, indicando nella legge e non nella giurisprudenza la responsabilità di stabilire le norme relative al copyright, Google tenta di costringere la Corte a formulare la propria sentenza. Sulla Corte grava quindi una responsabilità di grande rilievo: la decisione stabilirà il modo in cui la digitalizzazione dei libri prenderà piede.