Una vittoria per tutti, ma soprattutto per chi, come il primo ministro UK David Cameron, pensa da tempo che i motori di ricerca avrebbero potuto fare molto di più per combattere il propagarsi della pedofilia online. Google e Bing hanno compiuto un importante passo avanti in questa direzione: una azione congiunta che avvia una rincorsa tra guardia e ladri. Le migliori guardie contro i peggiori ladri, con in ballo l’innocenza delle vittime e nel mirino l’azione di pedofili, produttori di materiale pedopornografico, distributori del materiale stesso e protagonisti di abusi su minori.
Quel che Google e Bing vanno a fare è una sorta di inversione a “U” rispetto al recente passato. Fino ad oggi, infatti, Google aveva evitato ogni intervento diretto sul tema poiché era in ballo il difficile equilibrio della libertà di espressione online. Argomenti forti per ambiti delicati: pesare rischi e opportunità diventa in certe occasioni stucchevole e complesso, ma fino ad oggi il dibattito era proseguito con un tira e molla nel quale ora interviene un nuovo elemento. Google ha infatti spiegato di aver messo a punto nuovi algoritmi con i quali l’opera di filtro sul materiale pedopornografico sarà più capillare ed efficace. Il motore di Mountain View, assieme a quello di Redmond, si appresta così ad implementare la nuova tecnologia che agirà ad ampio raggio per ostacolare la ricerca ed il reperimento online di materiale indubbiamente pedopornografico.
I video saranno identificati con ID univoco, potendo così agire sul Web alla ricerca di eventuali duplicati da rimuovere assieme all’originale. Alcune particolari ricerche saranno filtrate e con esse verranno meno anche gli auto-suggerimenti in fase di compilazione della query. Se i “ladri” caricheranno nuovo materiale ed introdurranno nuovi metodi per consentirne il reperimento, le “guardie” adegueranno i propri sistemi in modo dinamico, così che la rincorsa possa continuare creando continui ostacoli al flusso di materiale. Impedire la distribuzione dei video è infatti un chiavistello fondamentale per rompere un meccanismo che ha peraltro una sua ben nota economia: separare la domanda dall’offerta potrebbe colpire duramente alcuni interessi e sgonfiare così un mercato nel quale le vittime passano alle cronache ed i colpevoli troppo spesso rimangono nell’ombra.
La nuova tecnologia verrà immediatamente applicata sulle ricerche nei paesi di lingua anglofona, ma presto il progetto sarà esteso anche in 158 nazioni ulteriori. Così facendo la lotta alla pedofilia diventerà una questione internazionale e prenderà il via dai motori di ricerca, ove lo scandalo aveva raggiunto negli ultimi anni i suoi abissi più profondi.
David Cameron bussa da mesi alla porta dei motori di ricerca per un motivo preciso: l’uccisione di April Jones, bambina di 5 anni caduta sotto i colpi del 46enne Mark Bridger. Secondo le cronache, le perversioni del responsabile del delitto hanno in parte percorso le strade del Web e della televisione, trovando in tv l’ispirazione all’efferatezza compiuta dopo una vita fatta di rapporti coniugali falliti, vari arresti e piccoli crimini in rapida successione. Online, invece, Bridger aveva cercato le immagini della propria vittima, passando per Google prima e per Facebook poi. Varie le fotografie trovate sul pc dell’accusato, il quale ha firmato la propria confessione soltanto dopo un lungo interrogatorio e senza rivelare mai tutti i dettagli del proprio operato.
Il caso fece molto scalpore e da quel momento per Cameron la lotta alla pedofilia online è diventato un chiodo fisso. L’analisi del caso April Jones ed altri casi simili ha consentito agli inquirenti di capire qualcosa di più del rapporto tra pedofili e Web, carpendo un certo numero di query “tipiche” per il reperimento del materiale indicizzato dai motori. A partire da questo lavoro ha preso il via quello successivo: la costruzione di un filtro mirato in grado di identificare query indubbiamente legate alla pedofilia. Tali ricerche restituiranno presto i contatti di centri di aiuto in sostituzione di fotografie di nudo o, peggio ancora, di espliciti contenuti pedopornografici.
Da poche settimane la piccola April Jones ha avuto le sue esequie pur in assenza del corpo, mai trovato. La tragicità del caso ha convinto anche i tecnici di Mountain View e di Redmond a fare qualcosa di più, cercando un nuovo compromesso tra guerra alla pedofilia e giusta tutela della libertà di espressione.
Qualcosa di più, infatti, si può fare e verrà fatto. Google aveva lasciato intendere il proprio impegno in tal senso fin dai mesi scorsi, quando il percorso di lotta aveva intrapreso una nuova direzione con un comportamento maggiormente proattivo da parte dell’azienda per l’identificazione tramite hashing delle immagini da mettere al bando:
Il nostro business è di rendere le informazioni universalmente disponibili, ma ci sono certe “informazioni” che non dovrebbero mai essere create o trovate. Possiamo fare molto per assicurarci che non siano disponibili online e per far si che quando le persone condividono questo tipo di contenuti siano catturati e perseguiti.
13000 query sono fin da subito nel mirino dei due motori; Google sta già collaborando con associazioni quali Internet Watch Foundation (IWF) e US National Center for Missing and Exploited Children (NCMEC), anche tramite l’istituzione di un ampio database di immagini pedopornografiche da gestire e sfruttare assieme ad inquirenti, associazioni del settore ed altri gruppi del mondo online; da tempo Microsoft collabora con una tecnologia propria utilizzata per identificare e cercare le vittime degli abusi; la nuova tecnologia messa a punto dagli ingegneri di YouTube inizierà presto il proprio lavoro di identificazione dei video per una correlazione diretta con query e SERP. Poco alla volta la trama di Google e Bing, insomma, si stringerà attorno al sistema pedofilo, riducendone probabilmente le dimensioni in Rete, ma senza poter fare di più contro la violenza privata e il mondo offline. Perché se online la pedofilia trova distribuzione, è offline che il problema reale trova compimento e piena tragicità. La guerra di Google e Bing deve essere dunque soltanto l’incipit per un nuovo modo di combattere il reato: un primo passo, un nuovo passo, ma non certo l’ultimo.