Le discussioni relative alla licenza d’uso di Chrome (quella descritta nel lungo testo approvato in fase di download e installazione del browser) hanno evidentemente colto nel segno: a distanza di 24 ore, infatti, Google è già dovuta intervenire apportando una prima parziale modifica al contratto, specificando peraltro che tale modifica è retroattiva e valida per tutti i download dell’installer già avvenuti.
Tra le osservazioni che vennero immediatamente portate avanti, una era relativa ad una specifica frase che in molti hanno interpretato in malo modo. Google, infatti, aveva inserito parole particolarmente dure che sembravano regalare al gruppo i diritti di sfruttamento per qualunque immagine o testo portati online tramite il browser di Mountain View. Gallery, post, email: secondo quanto indicato nella contestata “Sezione 11” dell’EULA, Google si sarebbe riservata tali diritti con una licenza «perpetua, irrevocabile, internazionale e royalty-free».
Google non solo indica tramite Matt Cutts che le intenzioni erano bonarie e ben diverse da quelle che l’utenza ha interpretato, ma fa un passo oltre e modifica per intero la famigerata Sezione 11. La quale da oggi recita: «11.1 L’utente è proprietario del copyright e di qualsiasi altro diritto già posseduto sui Contenuti inviati, pubblicati o visualizzati su o tramite i Servizi. Inviando, pubblicando o visualizzando i Contenuti, l’utente concede a Google una licenza perenne, irrevocabile, internazionale, non soggetta a diritti d’autore e non esclusiva per riprodurre, adattare, modificare, tradurre, pubblicare, eseguire in pubblico, visualizzare pubblicamente e distribuire qualsiasi Contenuto inviato, pubblicato o visualizzato su o tramite i Servizi. Detta licenza ha il solo scopo di autorizzare Google a visualizzare, distribuire e promuovere i Servizi e può essere revocata per alcuni Servizi, come definito nei Termini aggiuntivi dei Servizi in oggetto».
Il punto 11.2 è invece leggermente più nebuloso: «L’utente conviene che detta licenza includa un diritto per Google di rendere tali Contenuti disponibili per altre aziende, organizzazioni o altri soggetti con cui Google abbia rapporti per la fornitura di servizi diffusi e di utilizzare tali Contenuti in relazione alla fornitura di tali servizi». A tal proposito non viene segnalato nulla di specifico da parte dell’azienda.
La spiegazione offerta dal Senior Product Counsel Rebecca Ward è quella di un semplice ed equivoco qui-pro-quo: «Per rendere più semplici le cose ai nostri utenti, abbiamo provato ad usare lo stesso set di termini legali (il nostro Universal Terms of Service) per molti dei nostri prodotti». Non sempre, però, i termini generali ben si adattano al caso particolare: «Stiamo lavorando rapidamente per rimuovere il linguaggio della Sezione 11 degli attuali termini del servizio di Google Chrome. Questi cambiamenti verranno applicati retroattivamente su tutti gli utenti che hanno scaricato Google Chrome».
Il problema è pertanto risolto. Google, però, non fa cenno agli altri problemi segnalatisi nelle prime ore relativamente alla licenza d’uso. Nessun commento, ad esempio, relativamente agli aggiornamenti automatici previsti, modalità questa poco gradita dagli utenti e spesso problematica per i dubbi e la mancata trasparenza che tali operazioni potrebbero sollevare. Nessun commento, inoltre, circa i diritti che Google trattiene relativamente allo sfruttamento del browser a fini pubblicitari. Entrambi i casi sono destinati a venire prima o poi a galla, con l’evolversi del browser e con l’accrescersi della fetta di mercato di Chrome.
Nessun commento (e nessun intervento), soprattutto, per la falla riscontrata fin da subito nel browser: il software rimane vulnerabile ed i download continuano a susseguirsi, rendendo così ogni giorno più appetibile un eventuale attacco di massa legato ad un “carpet bombing” sull’utenza Chrome.