Come anticipato in un post pubblicato sul blog ufficiale all’inizio di dicembre 2010, Google ha iniziato a filtrare tutti i termini legati alla pirateria, come “torrent”, “bittorent” e “rapidshare”. Senza nessun avviso pubblico, l’azienda di Mountain View ha compilato infatti una lista di parole che l’utente non vedrà più comparire istantaneamente tra i risultati della ricerca. Per questi termini sono state disattivate le funzionalità Google Suggest e Google Instant.
Anche se non si tratta di una censura completa (è ancora possibile trovare questi termini premendo il tasto Invio), la decisione di Google non sembra giustificabile in quanto danneggia sia gli utenti che le aziende che offrono servizi perfettamente legali. Termini come “bittorent” o “utorrent” fanno infatti riferimento ad un protocollo per il trasferimento dei file e ad un software il cui utilizzo è sicuramente lecito. Anche la ricerca di parole come “ubuntu torrent” non visualizzerà i risultati corrispondenti nonostante questo protocollo sia il più utilizzato per scaricare le distribuzioni Linux.
La prima impressione derivante dalla scelta di Google porta a concludere che la lista sia stata “consegnata” da MPAA e RIAA dopo le numerosi pressioni ricevute dalle industrie del cinema e della musica. Questa la prima reazione di Simon Morris di BitTorrent Inc.:
Rispettiamo il diritto di Google di determinare gli algoritmi per fornire risultati di ricerca adeguati alle richieste degli utenti. Detto questo, il nome commerciale della nostra azienda è abbastanza singolare, e siamo abbastanza sicuri che chiunque digitando le prime sei o sette lettere meriti lo stesso facile accesso ai risultati di ricerca come qualsiasi altra società.
Morris aggiunge che la ricerca del termine “BitTorrent” restituisce numerosi link legittimi. Google non avrebbe capito insomma, secondo i detrattori, che il protocollo open source è utilizzato da molte aziende per scopi legali. Qualche dubbio sulla natura del filtro di Google viene digitando termini che non sono stati bannati, quali BitComet, BitLord, HotFile, The Pirate Bay e Isohunt, cioè servizi che si basano proprio su BitTorrent. Nella blacklist è stato anche inserito, peraltro, il client Xunlei (il software BitTorrent più usato in Cina), sul quale Google ha investito 5 milioni di dollari nel 2006.
Secondo RapidShare, i risultati del motore di ricerca dovrebbero riflettere gli interessi degli utenti e non quelli di Google o di qualcun altro. Filtrare tutti i termini indiscriminatamente, significa danneggiare anche molti artisti, cantanti e gruppi musicali emergenti che utilizzano esclusivamente BitTorrent per far conoscere i propri lavori. Se non verrà trovata una soluzione migliore, la decisione di Google sarà vista da un certo fronte come un favore alle grandi compagnie dell’intrattenimento.
Per TorrentFreak, questo non è un modo per combattare la pirateria, ma piuttosto un modo per creare una Internet controllata dalle corporazioni. Dalla controparte è ipotizzabile invece un plauso per un motore che, se non filtra i risultati escludendo del tutto BitTorrent dalle SERP, evita quantomeno di suggerirne l’adozione con i propri risultati istantanei.