Al fine di evitare cattive sorprese in seguito, Google si muove d’anticipo e chiede espressamente ad una corte federale statunitense di esprimersi circa le controversie sorte sul sistema pubblicitario usato nelle pagine del motore. La questione riguarda l’uso di marchi protetti nel testo usato all’interno degli spazi pubblicitari ed il primo caso sorse in Agosto quando Louis Vuitton insorse contro l’uso del proprio marchio da parte di aziende concorrenti.
La vicenda si è in seguito evoluta. Contro Google si è mosso anche eBay, il cui nome sarebbe citato in molte pubblicità riscontrabili nel circuito del motore di ricerca: in questo caso la politica adottata è sfociata nella rimozione delle più plateali violazioni del trademark, ma non tutte le pubblicità sotto accusa sono scomparse.
La vicenda torna ora in auge per i casi “American Blind Factory” e “DecorateToday“. Tali aziende avrebbero minacciato di richiedere ingenti danni a Google per possibili infrazioni riscontrate in talune pubblicità, ma dal team di Larry Page e Sergey Brin si contesta il fatto di aver richiesto la rimozione di keyword quali “American Wallpaper” o “American Blind” (se passasse una interpretazione così larga del trademark, per il futuro del sistema adware di Google sarebbero guai seri).
La richiesta di chiarimento di Google riguarda un buco legislativo che coinvolge casi come quello in esame. Prima di agire in qualunque modo, dunque, dal motore di ricerca viene richiesta un chiarimento circa le linee di condotta da adottare, pur chiarendo come la sensazione sia quella di aver ottemperato a tutte le attuali normative sul copyright. La richiesta di rimozione di pubblicità di aziende terze, dunque, non sarebbe motivata se non in espliciti casi di violazione. In ballo c’è una grossa fetta degli introiti non solo di Google, ma di vari circuiti adware in Rete.