Quando ormai è passato quasi un anno dalla richiesta del CNIL (Commission Nationale de l’Informatique et des Libertés) a Google di rendere globali le regole del diritto all’oblio, da Google giunge una risposta ufficiale che non cambia di un solo millimetro la posizione del gruppo rispetto al secco diniego già paventato pochi giorni dopo la richiesta dell’autorità francese. Nulla cambia su un fronte e nulla cambia sul fronte opposto, riaprendo così una ferita profonda che il Consiglio di Stato francese dovrà ora dirimere.
Il punto di vista di Mountain View è firmato da Kent Walker, Senior Vice President and General Counsel di Google. Il primo argomento a cui Walker si appella è quello della ragionevolezza, partendo da un assunto quasi scontato: le regole non sono uguali nei vari paesi poiché differenti sono storia, tradizione e sensibilità. Se si tentasse di rendere globali le normative, la conseguenza sarebbe quella di un compromesso al ribasso che renderebbe impossibile la libertà di espressione in virtù della semplice imposizione di regole lontane su contesti potenzialmente dissociati.
Quel che Google spiega è la propria buona fede: l’impegno a garantire ogni sensibilità è totale, purché non si chieda al gruppo di fare da arbitro e garante dei contenuti e dei rapporti tra le nazioni:
Per centinaia di anni, è stata una norma accettata il fatto che nessun Paese avesse il diritto di imporre le proprie regole ai cittadini di altri Paesi. Di conseguenza, informazioni che sono illegali in un Paese possono essere perfettamente legali in altri: la Thailandia considera reato gli insulti al Re, in Brasile è vietato condurre campagne elettorali negative verso gli avversari, la Turchia considera reato discorsi denigratori di Ataturk o della nazione Turca – attività perfettamente legali in altre parti del mondo. Operando a livello globale, ci impegniamo seriamente per rispettare queste differenze.
Google ricorda inoltre come un passo sia già stato fatto, «restringendo l’accesso ai link deindicizzati su tutti i servizi di ricerca Google visibili dal Paese della persona che ha effettuato la richiesta» ossia rimuovendo i link dai risultati di ricerca anche sugli altri domini europei. Estendere però questo principio al di fuori dell’UE in senso unilaterale rischia di diventare cosa pericolosa che va a detrimento tanto del valore di Google, quanto della libertà di espressione sul vecchio continente, quanto ancora della libertà di accesso alle informazioni da parte dei singoli. E ancora una volta la lingua usata da Google è quella del buon senso:
Questo ordine potrebbe portare ad un meccanismo di ‘corsa al ribasso’ su scala globale, limitando l’accesso ad informazioni che è perfettamente lecito vedere nel proprio Paese. Ad esempio, potrebbe impedire ai cittadini francesi di vedere del contenuto che è perfettamente legale in Francia. E non si tratta solo di una considerazione ipotetica: abbiamo ricevuto richieste da parte di governi di rimuovere contenuti a livello globale per vari motivi e ci siamo opposti, anche se questo a volte ha portato al blocco dei nostri servizi.
Le argomentazioni di Mountain View sono pertanto estremamente chiare e saranno portate a giudizio al cospetto della Suprema Corte Amministrativa francese, il Consiglio di Stato, affinché possano valere come richiesta di appello di fronte all’ordine perpetrato dal CNIL.
Il braccio di ferro tra le parti si gioca direttamente sulle spalle degli utenti ed al Consiglio di Stato spetta una decisione di grande rilevanza: in ballo c’è il principio della permeabilità dei confini al cospetto del diritto internazionale, ed ogni possibile effetto collaterale andrà messo sul piatto nel momento in cui verrà vagliata la posizione del CNIL circa la richiesta portata avanti al motore di ricerca. Eventuali linee intermedie potrebbero ancora sussistere, ma è chiaro il fatto che il confine sia estremamente labile: censura e libertà si giocano le proprie armi in questa battaglia per poi sfidarsi stato per stato a colpi di link deindicizzati.