Google condannata dal CNIL, l’organismo francese che si occupa dei dati personali (il corrispettivo della nostra autorità garante della privacy) per violazione delle norme nazionali. Quella unificazione delle policy dei diversi servizi di Big G non era mai piaciuta e come era lecito attendersi ora è venuta la multa: 150 mila euro e obbligo di pubblicazione dell’avviso sulla versione transalpina di Google entro otto giorni.
In Europa si stanno susseguendo diverse azioni contro la policy di Google, alcune coordinate in una task force – dov’è compresa anche l’Italia – altre autonome, come nel caso della Spagna che ha già multato Google per le stesse ragioni di 900 mila euro. La differenza della sentenza del CNIL è che quest’ultimo è referente dell’UE per l’analisi della posizione antitrust di Google, dunque le sue motivazioni – che possono essere riassunte con una condanna alle modalità e non alla politica unificatoria in sé – hanno e avranno un peso specifico ben diverso da quelle delle sanzioni delle singole nazioni.
In particolare, il regolatore francese, scaduti i termini di ravvedimento di Mountain View, ha sottolineato come le nuove norme risultini poco chiare, insufficienti soprattutto per le implicazioni sulla pubblicità Google; inoltre, sempre secondo il CNIL Google non ha ottenuto un consenso appropriato dell’utente prima di porre i cookies sui dispositivi, né è chiaro ai suoi utenti la loro durata.
Multa bassa, imbarazzo alto tra Usa ed Europa
Mentre è chiaro che la cifra è argent de poche per la grande web company californiana, bisogna cercare di capire se e quanto imbarazzo può aver causato. Il WSJ si è dilungato molto sulla diatriba tra la capitale politica americana e Bruxelles, citando peraltro anche la webtax (come farne a meno?) tra le molte iniziative delle singole nazioni, in attesa della creazione di una grande area europea dove perimetrare il retargeting pubblicitario dei servizi online. Sogno neanche tanto recondito di Viviane Reding.
Il disaccordo permanente tra le due sponde è però davvero un disastro da tutti i punti di vista e gli osservatori economici cominciano a preoccuparsi. Tutte queste piccole scintille potrebbero prima o poi scatenare un incendio. Il motivo? I politici americani faticano a vedere i dati personali come i politici europei: per i primi sono la risorsa naturale di cui anche le imprese europee dovrebbero approfittare, mentre spesso per la cultura europea, che ha vissuto le dittature, le leggi sulla privacy sono un baluardo contro ogni forma di tirannia, compreso quella economica.
Negli Usa il marketing e la sicurezza nazionale perlustrano le vite delle persone con margini più ampi (e separati) di quelli degli enti governativi inferiori, mentre nel vecchio continente è quasi l’opposto: si accetta che una tessera sanitaria contenga tutto della salute di una persona, ma se da un singolo messaggio privato su un social lo strumento personalizza la pubblicità pubblicandola sulla bacheca il cittadino si sente violato.