Si torna a parlare di Google e diritto all’oblio. Nel fine settimana la High Court britannica si è pronunciata in merito alle richieste di due uomini d’affari, indicati come NT1 e NT2 per proteggerne l’anonimato, che si sono rivolti al giudice chiedendo la deindicizzazione di link che portano a informazioni riguardanti crimini per i quali in passato sono stati giudicati colpevoli e hanno scontato una pena.
Nel dettaglio, NT1 ha trascorso quattro anni in cella per essersi reso colpevole di falsa testimonianza alla fine degli anni ’90, mentre NT2 ha passato sei mesi dietro le sbarre per aver intercettato in modo non autorizzato delle comunicazioni una decina di anni fa. NT1 ha chiesto a Google di rimuovere sei link il 28 giugno 2014, NT2 ha fatto lo stesso per un totale di 11 link il 14 aprile 2015. Google ha cancellato dalle proprie SERP solo uno dei collegamenti indicati da NT1, rifiutandosi di fare altrettanto con gli altri. Da lì la volontà di rivolgersi a un giudice. Il 13 aprile la sentenza: richiesta accettata per NT2, che secondo il giudice ha riconosciuto le proprie colpe e mostrato un genuino pentimento.
Le informazioni relative al crimine commesso e alla punizione sono ormai obsolete, irrilevanti e non sufficienti a giustificare un legittimo interesse degli utenti del motore di ricerca, dunque dev’essere emesso un ordine finalizzato alla loro rimozione.
Esito differente per NT1, la cui richiesta è stata respinta, ma che avrà modo di ricorrere in appello. Immediata la replica di Google, che in un comunicato afferma quanto segue.
Lavoriamo duramente per garantire il diritto all’oblio, ma poniamo grande attenzione anche nel non rimuovere risultati che possono essere di interesse pubblico e che difendono il diritto dei cittadini di accedere alle informazioni legali. Ci fa piacere che la corta abbia riconosciuto i nostri sforzi in questo ambito e rispetteremo le decisioni prese a proposito di questo caso.
Quanto accaduto potrebbe in futuro costituire un precedente, consentendo a chi si vede negata da Google la rimozione dei link di rivolgersi a un giudice. Un’ennesima dimostrazione di quanto sia delicato l’equilibrio tra diritto all’oblio e diritto di accesso alle informazioni da parte del pubblico.