Da qualche tempo Google avrebbe reintrodotto la possibilità di pubblicizzare birra sul proprio canale AdWords. La scoperta è di Taylor Pratt, secondo cui sarebbe leggermente cambiata la policy del gruppo estendendo così all’industria della birra (notoriamente in mano a pochi grandi nomi noti oltre ad una costellazione di piccoli produttori sicuramente poco interessati alle inserzioni) la possibilità di promuovere i propri prodotti.
Secondo Pratt il veto sarebbe caduto anche relativamente a vino e Champagne, ma una precisazione proveniente direttamente da Google nega che le due categorie fossero mai state vietate.
Spiegazioni? Nessuna. Il vino c’è, i superalcolici no, evidentemente la birra è stata assimilata al primo piuttosto che non ai secondi all’interno delle inserzioni “non-Family Safe“. Il filo rosso che divide il “bene” dal “male” è in questi casi oltremodo labile ed è ovviamente una questione culturale impossibile da sancire in un regolamento. Google, però, ha la necessità di compiere scelte precise, anche a rischio di doversi scontrare con quanti vedono in un maggior permissivismo la semplice volontà di rastrellare maggiori capitali. Sarebbe dimostrato, infatti, che in tempi di magra l’alcool verrebbe consumato in quantità molto maggiori. Dietro una leggera variazione della policy di AdWords, insomma, potrebbero teoricamente nascondersi operazioni di maquillage utili a favorire l’entrata sul mercato di nuovi inserzionisti.
Valutazioni etiche a parte, il dato di fatto è questo: la spillatrice di Google è pronta. Preparare il boccale. Chi vuole una doppio malto?