Quello vissuto da Google nella serata italiana del 2 giugno è la prova cardine di quanto la nostra stabilità sul web sia a rischio. No, non parliamo dell’accesso temporaneamente out a Facebook oppure a Twitter. Senza i due social si vive tranquillamente, con le sole e più grandi vittime individuate nelle compagnie stesse che offrono il servizio. L‘outage di Big G è invece ben diverso, data la pletora di tipologie di utenti che serve e del business che le sue funzionalità supportano.
Quando si è tratta di fare i conti con il down, portali più o meno grandi hanno visto azzerarsi il numero di visitatori, aziende impossibilitate a ripristinare piattaforme di analytics e di gestione, e crisi più o meno ampie per vari settori. Anche se il problema è stato risolto, il fatto è che il cloud di Google, se in stallo, può causare interruzioni per molte delle applicazioni più popolari al mondo, mettendo in risalto la debolezza che vi è alla base delle architetture più diffuse.
Questo perché la maggior parte delle aziende ha piazzato tutto il backend nelle mani di una società e seppur i benefici superino i rischi, vale la pena almeno tornare sul discorso di una pianificazione di emergenza. Le moderne architetture cloud hanno ridotto i costi per la creazione e la gestione di un’infrastruttura, ma ciò vuol dire che un numero sempre maggiore di imprese dipende da servizi singoli, dai quali scaturisce la loro capacità di operare.
Man mano che il mondo diventa più interconnesso (specialmente con il boom dell’IoT ), pare importante, anzi fondamentale, che le organizzazioni, grandi o piccole che siano, intraprendano un’adozione concreta di un piano di backup, che sia quasi obbligatorio. In breve, va bene avere una dipendenza necessaria da terzi, che sia lo storage o il cloud, ma solo finché le aziende abbiano una via di uscita alternativa, nel caso di problematiche evidenti.
Come dice Jeff Bezos, le intenzioni non contano. Non puoi semplicemente mettere tutte le tue uova in un paniere e aspettarti che qualcun altro se ne prenda cura. Questo è esattamente ciò che stiamo facendo quando mettiamo tutti i nostri dati e servizi sul cloud di qualcuno. Forse è tempo di pensare al cloud come un Piano B, non la strada primaria. Sono fiducioso sul fatto che l’industria adotterà presto ambienti ibridi per proteggersi da tali punti centrali, per evitare un insuccesso. Ed questo è il motivo per cui aziende esperte di housing e colocation forniscono configurazioni di cloud ibrido e disaster recovery. Non più solo un’opzione.
E allora…#buongiornounCaffo