Una casuale coincidenza di tempi ha messo nel giro di pochi giorni i due principali motori di ricerca (Google e Yahoo!), sia pur se con modalità diverse, di fronte allo stesso problema: l’apologia del Nazismo. Da una parte emerge un problema prettamente economico-legislativo, con il motore di ricerca concentrato a difendere le proprie azioni; dall’altra v’è una diatriba puramente morale con il motore impegnato a difendere le proprie scelte etiche.
Il caso Yahoo! verte sulla vendita online di cimeli nazisti. Tale vendita era stata inizialmente vietata in Francia in seguito ad una precisa denuncia di una associazione per la difesa dei diritti umani. In seguito a tale sentenza Yahoo! ha eliminato testi e immagini incriminati dal sito francese del motore, conservando però tali riferimenti sulle altre pagine del sito. Ancora una volta l’entità transnazionale della Rete è però andata a scontrarsi con la realtà delle legislazioni nazionali e così ora Yahoo! è alle prese con un nuovo appello volto a derimere il caso. Partendo dalla questione morale la vicenda si sta sviluppando su binari economico-legislativi ed il problema etico risulta essere sollevato esclusivamente dalla parte dell’accusa (ma si rivela essere un cliente scomodo per le posizioni della difesa). Così Robert Vanderet, legale Yahoo!, riassume le posizioni del gruppo ai microfoni Reuters: «Yahoo necessita dell’assicurazione che tale ordinanza [della Corte francese] non sia applicabile negli Stati Uniti».
Parallelamente il gruppo “don’t be evil” Google si è visto costretto ad eliminare dall’indice del proprio Google News (recentemente colpito già dal caso AFP) alcune fonti tedesche riportanti articoli per le quali è stata intravista una radice neonazista (tra di esse si segnalano il “National Vanguard” ed il “National Zeitung”). In casi come questi il motore applica fedelmente le ferree regole della propria policy, ma nel contempo gonfiano le polemiche per una scelta etica che per sua natura è forzatamente questione opinabile. Nonostante le contestazioni di chi accusa il motore di censura di fronte ad articoli scritti sotto la tutela del “Primo Emendamento”, il portavoce Google Steve Langdon si mostra irremovibile: «se veniamo a conoscenza di articoli che riportano contenuti di odio, li rimuoveremo».