L’annuncio della Digital News Initiative (DNI) tra Google e otto importanti editori europei – in Italia, La Stampa – ha creato una forte attrazione e nel giro di pochi giorni si sono già aggiunti nuovi editori, organizzazioni e giornalisti, che hanno contattato Big G per manifestare interesse ad entrare nel programma. L’idea di un’alleanza reciprocamente vantaggiosa tra Google e gli editori di notizie era considerata bizzarra, ora non lo è più: sono bastati 150 milioni di euro?
La partnership tra la società californiana e gli editori del vecchio continente per produrre contenuti digitali di qualità sembra aver colpito al centro: dopo l’adesione dei primi otto si stanno aggiungendo anche in Italia nuovi nomi. Non si trovano ancora tra i partner del programma DNI sul sito, ma sono già ufficializzati. Oltre al quotidiano di Torino hanno aderito AdnKronos, l’ANES (Associazione Nazionale Editoria Periodica Specializzata), l’ANSO (Associazione Nazionale Stampa Online), l’USPI (Unione Stampa Periodica Italiana) e tre altri gruppi facenti capo a diverse testate giornalistiche: il Giornale, Lettera43.it, il gruppo QN, Resto del Carlino, La Nazione, Il Giorno. La Digital News Initiative resta ancora aperta a chiunque svolga un ruolo nell’ecosistema dell’informazione online. Non si sa se Google può salvare il giornalismo (forse neppure gli spetta), ma alla vulgata colpevolista ora si contrappone l’invito a produrre contenuti su stimolo dello stesso motore di ricerca. Già meglio.
Il punto di vista costruttivo
Si sta imponendo, gradualmente, un punto di vista costruttivo, e però anche consapevole delle implicazioni esterne di questa iniziativa. Il commento di Mario Calabresi, primo direttore di un giornale italiano ad aderire al programma di Google, lo riassume perfettamente:
Si può obiettare che per il gigante di Mountain View questa è una necessaria operazione di marketing e di pubbliche relazioni, per migliorare la propria reputazione in un continente in cui si trova ad affrontare critiche e una indagine antitrust, ma se questo lo ha spinto a sedersi intorno ad un tavolo e a discutere seriamente di sviluppo digitale del mondo editoriale per noi è una buona notizia.
Il programma di Google ha il merito di aver intuito che chi indicizza e governa i flussi ha tutto l’interesse ad arricchire la rete di contenuti, per valorizzare i suoi stessi servizi, ma l’azienda è andata oltre articolando la collaborazione in tre punti: lo sviluppo dei prodotti insieme ai giornali stessi;la formazione con tre grandi istituti terzi rispetto a editori e Google e istituzione di borse di studio per la ricerca sul futuro del giornalismo; lo stanziamento di un fondo di 150 milioni di euro nei prossimi tre anni per sostenere l’innovazione.
Come funziona il fondo
La notizia che altri gruppi italiani stanno aderendo al programma significa che il fondo sarà presumibilmente stressato nel prossimo futuro. Più si candidano, ognuno col suo progetto, meno grande sarà la fetta per ciascuno, considerando che l’ammontare è stanziato definitivamente a livello internazionale; o meglio, dato che sarebbe un errore considerarlo uno stanziamento a pioggia, bisogna meritarselo. Così come alcuni giornali francesi e britannici hanno mostrato notevoli abilità a costruire piattaforme su mobile con maggiore engagement o forme nuove di pubblicità native, anche gli aderenti italiani dovranno fare altrettanto.
Il programma DNI non è soltanto un fondo, ma una iniziativa aperta alla quale tutti possono partecipare (qui il modulo) anche startup, editori di ogni tipo, associazioni. E molti di questi, come alcune sigle italiane, saranno probabilmente più interessati ai percorsi di formazione, mentre gli editori certamente potranno proporre dei progetti finanziabili. Ecco perché il fondo avrà bisogno di una struttura con un organismo di gestione e delle regole di ingaggio. I progetti saranno valutati e poi eventualmente finanziati, corrispondendo all’idea che il DNI deve promuovere innovazioni profonde del giornalismo digitale. Insomma, non più editori in concorrenza con Google, ma in concorrenza positiva tra loro.
E sullo sfondo, Facebook…
In un ecosistema dell’informazione completamente cambiato in pochi anni, l’alleanza possibile tra Google ed editori «appare quasi vecchia». Lo ha detto Marco Pratellesi aprendo il panel al Festival del giornalismo (video) con ospiti straordinari come Matthew Ingram e la presenza dello stesso Calabresi, pochi giorni prima della notizia dell’ingresso del suo giornale nel DNI. Un panel estremamente interessante che ha ribadito come non si debba avere paura di questo rapporto, pur nella guardia alta che i produttori di contenuti devono tenere quando si tratta degli sconvolgimenti che le web company producono in questi stessi ecosistemi.
La stessa guardia che si potrebbe considerare troppo abbassata con l’accordo tra alcuni grandi editori e Facebook, forse il vero rivale di Google in questo approccio e in questo mercato. Gli editori stanno rinunciando a possedere i loro contenuti, al loro traffico da motore di ricerca, ma in cambio di cosa? Si parla di eccezionali volumi di traffico in mobilità, forse di condivisione dei big data in cambio di una quota dei proventi pubblicitari, a meno che l’editore preferisca vendersi da solo i suoi spazi. Rispetto al progetto di Google, a monte, Facebook scende a valle e scarica la sua potenza. Non preoccupandosi per ora dei contenuti, bensì di embeddarli.