Google avrebbe teso la mano al fisco italiano, rinunciando ad un contenzioso che avrebbe probabilmente lasciato strascichi per ambo le parti. La notizia trapela dai giornali del mattino, ma senza alcuna conferma ufficiale: nonostante i titoli assertivi, infatti, il tutto sarebbe probabilmente frutto di una fuga di notizie che al momento non trova il supporto dell’ufficializzazione né dal gruppo di Mountain View, né dai vertici della Guardia di Finanza.
Update ore 10.50: la notizia trapelata non è veritiera
Sulla base di quanto appreso da un portavoce Google, la notizia non solo non sarebbe supportata da alcuna conferma, ma non sarebbe neppure suffragata dai fatti. Spiega Google: «La notizia non è vera, non c’è l’accordo di cui si è scritto. Continuiamo a cooperare con le autorità fiscali». Una smentita secca, insomma, che lascia comunque aperto lo spiraglio ad un possibile accordo successivo.
La cifra in ballo sarebbe pari a 320 milioni di euro, risultanza di un imponibile da 800 milioni di euro che la Procura di Milano e le Fiamme Gialle avevano a suo tempo contestato alla sede distaccata dell’azienda statunitense. Il periodo a cui fa riferimento la contestazione è quello tra il 2008 e il 2013, configurando pertanto il secondo capitolo della vicenda che vede le parti in discussione: in precedenza erano stati contestati 50 milioni per il periodo 2002-2006, ma la questione si chiuse rapidamente e in modo indolore. In attesa di avere una versione ufficiale sui fatti, il nuovo contenzioso si sarebbe chiuso pacificamente, chiudendo una trattativa che vede sì grossi numeri in ballo, ma che incide anche pesantemente sul modo in cui l’opera del gruppo viene avvertita dall’opinione pubblica.
Inutile negare, infatti, che negli ultimi anni siano state forti le pressioni dei media e delle istituzioni sul profilo fiscale delle grandi aziende della Silicon Valley, che per mezzo di sponde più o meno opportunistiche (ma sempre e comunque legittime, poiché consentite dal non allineamento delle legislazioni fiscali a livello internazionale) son riuscite a versare cifre irrisorie a fronte di fatturati altissimi. La stretta della crisi economica ha messo in luce questo meccanismo e creato un movimento di sfiducia nei confronti delle grandi corporation, pubblicamente accusate di non voler contribuire al fisco laddove più creano profitto.
La sostanza dell’accordo è stata così spiegata dal Corriere della Sera:
Pm e GdF hanno riconosciuto a Google la deducibilità di taluni costi, ma hanno contestato il nocciolo del meccanismo, rispetto al quale Google Italia si è infine orientata ad un accertamento per adesione attorno ai 160 milioni l’anno di imponibile dal 2008 al 2013: le tecnicalità seguiranno, ma il saldo dell’intesa stima che tra Ires (27,5%), Irap, sanzioni (pur diminuite in forza dell’adesione) e interessi, Google infine staccherà un assegno pari a circa il 40% degli 800 milioni di imponibile nei 5 anni, e cioè circa 320 milioni.
La trattativa pone un punto fermo dopo anni di contrasti attorno al “double irish-dutch sandwich” con cui Google sposta alle Bermuda le proprie tasse passando per una sponda irlandese. Le pressioni nazionali e continentali contro questo meccanismo hanno ormai reso chiaro l’interesse europeo a smontarne i meccanismi, portando così nuova linfa agli erari nazionali. L’accordo tra Italia e Google potrebbe dunque essere l’inizio di un nuovo periodo all’insegna di una maggior distensione, togliendo pressione sull’immagine del gruppo a fronte di nuovi assegni pronti ad entrare nelle casse dello stato.