Con un comunicato ufficiale Google ha annunciato l’intenzione di cambiare la sua politica di detenzione dati sull’attività dei suoi utenti. Fino ad oggi il più importante motore di ricerca al mondo archiviava le informazioni sulle ricerche dei propri utenti per un tempo indefinito, con la possibilità dunque di associare e raccogliere tutte le ricerche fatte da un determinato indirizzo IP (con ovvia minaccia per la privacy dell’utente relativo).
D’ora in poi Google si impegna a gestire le informazioni unicamente per un periodo che va dai 18 ai 24 mesi (l’oscillazione di 6 mesi è dovuta al fatto che la regola dovrà essere integrata con i vari ordinamenti delle diverse nazioni in cui opera il colosso). Dopo tale periodo l’azienda di Mountain View cancellerà gli ultimi 8 bit dell’indirizzo IP che identifica i computer nei loro log file. Quest’operazione farà sì che ogni indirizzo IP mascherato sia riconducibile ad un minimo di 256 possibili utenti.
Questa mossa arriva in risposta alle molte proteste ricevute da Google in materia di privacy. Il caso era infatti emerso lo scorso agosto quando per errore America On Line aveva esposto al pubblico le ricerche fatte da un totale di 650.000 utenti. Le proteste su ciò che fossero in grado di fare i motori di ricerca con tale mole di dati arrivarono anche dal Congresso e dalla Federal Trade Commission, oltre che naturalmente dai timori di massa sviluppatisi tra l’utenza.
La nuova politica intrapresa dalla grande G promette di trattare i dati solo per un massimo di 2 anni e, sebbene da più parti giunga un applauso per l’azione intrapresa, alcune posizioni ancora non sarebbero concordi e valuterebbero i 24 mesi un periodo ancora accessivo e pericoloso. Il caso non sarebbe peraltro da restringersi a Google in quanto, vista la posizione di dominio del motore nel settore di riferimento, la decisione segnerebbe “de facto” uno standard per l’intero mercato.
Presso Google si asserisce come la conservazione dei dati sia una stretta necessità legata alle attività del gruppo. Trattasi di dati sulle ricerche fatte, parole chiave usate, inidirizzi internet e cookies usati da siti web e pubblicità: questo tipo di informazioni serve a diagnosticare problemi, prevenire le frodi online e gli attacchi informatici. Inoltre, come ricorda Nicole Wong, vice consigliere generale dell’azienda, «sapere da dove viene fatta un ricerca, da quale città o paese, ci serve per stabilire se stiamo fornendo i risultati migliori».