Poche settimane fa la scissione tra la gestione delle fotografie e il social network G+, attraverso il lancio della nuova applicazione Google Foto. Una delle funzionalità principali del servizio è rappresentata dall’assegnazione automatica di tag ed etichette in base a quanto rilevato nelle immagini dagli algoritmi di riconoscimento facciale e degli oggetti. Una tecnologia tanto avanzata da poter rilevare anche la presenza di animali, quando presenti. L’episodio di cui si parla in questo articolo mette però in luce quanto lavoro debba ancora fare il team di Mountain View impegnato sul progetto.
Jacky Alciné, un programmatore di Brooklyn, ha denunciato un comportamento errato e decisamente offensivo dell’app: le foto scattate in compagnia di una sua amica sono state raggruppate automaticamente all’interno della categoria “Gorilla”. Pronta la sua denuncia, diffusa attraverso le pagine di Twitter, con post a cui sono stati allegati alcuni screenshot e nei quali viene sottolineato come le immagini interessate dal comportamento anomalo siano esclusivamente quelle scattate in presenza della ragazza. Per Google Foto non è decisamente il modo migliore per esordire.
Sta accadendo solamente con le mie foto in sua compagnia.
http://twitter.com/jackyalcine/status/615331869266157568/
A bigG va però riconosciuta la prontezza nell’intervenire per trovare una soluzione al problema in tempi rapidi. Un’ora e mezza circa dopo il primo tweet ha risposto alla conversazione Yonatan Zunger, Chief Social Architect del gruppo di Mountain View. Immediate le sue scuse e la disponibilità ad approfondire la questione.
Questo non è ok, al 100%.
http://twitter.com/yonatanzunger/status/615355996114804737
Zunger ha successivamente chiesto ad Alciné le credenziali per l’accesso al suo account, così da poter verificare l’accaduto, tornando a discuterne pubblicamente dopo aver individuato il problema nella difficoltà degli algoritmi ad assegnare tag quando nelle immagini ci sono persone con la pelle scura. Un simile comportamento si è già verificato in passato, quando a soggetti con ogni tipo di pelle è stato assegnato il tag “cane”.
Insomma, uno scivolone da parte della tecnologia impiegata per il riconoscimento facciale, ma anche una pronta reazione da parte di Google, a cui va riconosciuto il merito di aver ammesso il proprio errore scusandosi e rendendosi disponibile per trovare una soluzione. Interpellato dalla redazione del sito Ars Technica, un portavoce del motore di ricerca ha dichiarato quanto segue.
Siamo sinceramente e veramente dispiaciuti per quanto accaduto. Stiamo prendendo misure immediate per prevenire la comparsa di questo tipo di risultati. C’è ovviamente ancora molto lavoro da fare sul sistema che etichetta automaticamente le immagini e siamo impegnati per far sì che questo tipo di errori non si ripeta in futuro.