Che l’evoluzione del progetto Google Glass non sia andata finora come sperato inizialmente da bigG non è un mistero. Il gruppo californiano ha fermato la distribuzione del dispositivo agli sviluppatori, affidando la guida a Tony Fadell e invocando un necessario cambio di strategia. Una correzione di rotta che porterà quasi certamente al lancio di una versione degli occhiali destinata all’ambito professionale, identificata dalle voci di corridoio come Enterprise Edition.
È proprio Fadell a tornare sull’argomento, in occasione di un’intervista rilasciata ai microfoni della BBC. Senza troppi giri di parole si ammette l’errore nell’aver lanciato la Explorer Edition troppo in fretta, con l’obiettivo di raccogliere feedback e accelerare così il processo di perfezionamento del prodotto. Una cosa è però intervenire sul software, un’altra sulle componenti hardware, soprattutto quando si tratta di tecnologie relativamente nuove come Glass, un device dedicato alle applicazioni di realtà aumentata. Questa la metafora utilizzata.
Se ti occupi servizi basati sugli elettroni, può interagire rapidamente, testandoli, modificandoli e aggiustandoli. Ma quanto hai a che fare con gli atomi e devi organizzare linee produttive che richiedono un anno o più per sviluppare un prodotto, è meglio prendere coscienza di cosa si tratta, di ciò che si sta provando a realizzare e di quel che invece non funzionerà.
Sul futuro del progetto, però, Tony Fadell non ha dubbi: quella legata ai dispositivi indossabili è una vera e propria rivoluzione, alla pari di quanto avvenuto nell’ambito PC negli anni ’80 o più di recente nel settore mobile.
Può essere tanto importante quanto lo sono stati iPod e iPhone, ma serve tempo perché si sviluppi nella giusta direzione.
Cambiando di scorso, curiosamente il fondatore di Nest dichiara di non apprezzare l’appellativo Internet of Things ormai assegnato a tecnologie di vario tipo, definendolo fuorviante.
Penso che il termine svolga un completo disservizio per i prodotti di quell’ambito. Tutte le aziende pensano che accadrà qualcosa di magico e li integrano ovunque, poi i consumatori si chiedono “Cosa significa?”.
Lo stesso vale per smart home.
È una promessa non mantenuta. Ecco perché noi preferiamo parlare di “case riflessive”.