Google, il marchio impone poca autoironia

A Google manca forse solo un po' di autoironia: alcuni siti che facevano la parodia del noto motore di ricerca (anche in dialetto) sono stati diffidati e ne è stata chiesta l'immediata chiusura. Motivo? Il trademark è prezioso, va difeso con i denti.
Google, il marchio impone poca autoironia
A Google manca forse solo un po' di autoironia: alcuni siti che facevano la parodia del noto motore di ricerca (anche in dialetto) sono stati diffidati e ne è stata chiesta l'immediata chiusura. Motivo? Il trademark è prezioso, va difeso con i denti.

Nel quadro perfetto di Google manca forse solo un po’ di senso dell’ironia. Oppure il marchio è cosa tanto importante da non poter neppure permettere di soprassedere agli scherzi. Ed è così che emergono carte inedite a dimostrare come Google abbia inteso fermare sul nascere l’attività di siti che propongono la parodia del numero uno dei motori di ricerca.

Google ha sempre promesso un web migliore e con il suo «don’t be evil» ha percorso la strada dell’etica per sfondare anche i duri cuori dei potenziali azionisti. Google, però, ora dipinge sfumature di antipatia sul proprio quadro perfetto andando a colpire piccole iniziative il cui danno alla sua immagine si palesa decisamente irrisorio.

Eppure è di danno vero e proprio che l’ufficio trademark di Mountain View parla nelle proprie diffide. Il danno, nella fattispecie, deriverebbe dall’uso di una grafica simile a quella originale e da nomi a dominio simili. Se al tutto si aggiunge un’attività da motore di ricerca, allora il profilo è completo.

Uno tra i siti incriminati risulta essere belga e scritto in lingua fiamminga. Roba da nicchia, dunque, ma Google non intende soprassedere: a firma di Alex Porter (“Trademark Police specialist”) la diffida a Goegle.be chiede esplicitamente la disattivazione del sito in quanto il trademark di Google ha un valore «incalcolabile» e l’azienda intende tutelarlo con forza.

Se Google chiede un mondo migliore e poi difende con esasperata forza il proprio trademark, evidentemente nell’etica di Google vige la regola di un forte regime di copyright. L’etica sognata da alcuni sfuma quindi nei meri (normali, rispettabili e sacrosanti) interessi economici, la chimera si rivela per quel che è sempre stata e l’aura del motore perde splendore. Ma infondo ora le regole le detta il Nasdaq e molti “fans” saranno costretti a rivedere il proprio giudizio inconscio su Google. Arstechnica, che ha riportato la notizia, sottolinea: «se l’avesse fatto la Microsoft, metà mondo sarebbe esploso».

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