Sono passati sei mesi da quando l’arruolamento di George Reyes in qualità di capo delle operazioni finanziarie aveva fatto pensare ad un imminente ingresso in Borsa di Google. Da allora però nessun passo ufficiale è stato fatto verso la quotazione della società; ed ora è lo stesso Sergey Brin, uno dei cofondatori di Google, a raffreddare gli animi degli analisti e di tutti quelli che sarebbero pronti a scommettere su una delle compagnie più floride della Rete.
Intervenendo al PC Forum di Scottdale, Arizona, Brin l’ha buttata sullo scherzoso: «C’è un mucchio di lavoro da fare [per quotarsi], ed io sono pigro», ha dichiarato nel corso di un’intervista pubblica tenuta da Esther Dyson, l’autrice di Release 2.0. «Bisogna compilare un sacco di moduli. C’è il modello S1, in particolare, che pare sia molto lungo».
Dietro la presunta pigrizia di Brin, si nascondono in realtà motivazioni più concrete: i progetti di Google per la quotazione devono fare i conti con l’emergenza permanente che da quasi due anni, ormai, pende sulle Borse mondiali. Alla vigilia dell’11 settembre era stato lo stesso Brin a dichiarare in un’intervista al Sunday Business «Ci sono molte probabilità di andare in borsa entro la fine dell’anno». Gli attentati contro le Torri Gemelle ed il Pentagono avevano poi consigliato di accantonare questo progetto. La situazione dei mercati internazionali, resa ancora più incerta dall’attuale conflitto iracheno, consiglia a Google di rimanere alla finestra, sfruttando la situazione a suo vantaggio.
Essendo infatti slegata dalle logiche di borsa, come ha sottolineato Brin nella parte seria del suo intervento, Google può imbarcarsi in operazioni di lungo termine, senza preoccuparsi degli effetti finanziari immediati e senza che i suoi dipendenti siano distratti dalle vicissitudini del titolo. «Penso che la distrazione sia un problema, così come dover fare i conti ogni trimestre», ha spiegato Brin. Inoltre, sottraendosi ai controlli della SEC (Securities and Exchanges Commission, la CONSOB statunitense), Google evita di dover aprire i propri bilanci agli occhi indiscreti dei concorrenti.
Visti i risultati che Google ha raggiunto in quattro anni di vita senza quotarsi, e confrontandoli con le difficoltà dei titoli NASDAQ, l’entrata in Borsa può sembrare solo una seccatura agli occhi della compagnia. Una seccatura che però, ha dovuto ammettere lo stesso Brin, «non potrà essere evitata per sempre». E non solo perché, visti i successi annunciati dalla compagnia, i dipendenti chiederanno con sempre più insistenza di essere messi a parte degli utili con il meccanismo delle stock option; ma anche, e forse soprattutto, perché il mercato dei motori di ricerca va facendosi sempre più affollato e duro, e Google potrebbe presto avere bisogno dei capitali che soltanto una offerta pubblica può garantire.