Tutte le aziende devono avere una strategia di dati, altrimenti è come non avere alcuna strategia. Nel suo ultimo libro, “How Google Works”, Erich Schmidt ha descritto, insieme al co-autore Jonathan Rosenberg, il percorso aziendale di Mountain View, individuando due fattori fondamentali: costruire squadre di creativi intelligenti, operare per gestire la quantità enorme di dati prodotta dai software e stare davanti ai prodotti connessi alla Rete invece che dietro.
“How Google Works” pare essere la risposta più concreta al largo fronte opposto, quello di chi considera Google un esempio perfetto di ottimismo dell’algoritmo, o peggio un vero e proprio impero del male. Anche se ha un impianto assolutamente business (è di fatto un case-history aziendale, con la differenza che questa azienda fattura come uno stato e probabilmente conta politicamente molto di più tanti stati) il tour televisivo del duo di autori sta alimentando molte discussioni negli Usa e certamente sarà una lettura obbligata anche in Europa e altrove. Capire come funziona e ragiona Google, infatti, è entrare nella mente di una società che gestisce, bene o male, una parte consistente dei processi di conservazione e produzione di conoscenza e memoria. Una responsabilità colossale, che ha prodotto nel vecchio continente la norma sul diritto all’oblio.
L’homo digitalis
Può far sorridere, ma una lettura veloce del libro – in attesa della traduzione e pubblicazione in italiano – fa capire che Google è davvero convinta che la formula del successo di un’azienda come lei sia cercare e trovare una nuova specie di persona: un uomo digitale, portato per il giudizio analitico, costantemente annoiato dai sistemi di lavoro assodati e naturalmente predisposto a innovare trovando soluzioni ai problemi. Allo smart creative sono dedicate molte pagine già dal primo capitolo. In una intervista al Wall Street Journal, Schmidt e Rosenberg (da dieci anni in azienda, passati da posizioni come amministratore delegato e product manager senior) hanno confermato l’intenzione originaria dei fondatori, quella di migliorare il mondo. La spiegazione è che «sarete in grado di assumere le persone migliori quando credono che stanno andando a cambiare il mondo». Inoltre, per Schmidt Google non ha mai commesso errori organizzativi, ma al limite soltanto strategici.
In questo tipo di azienda, questi errori sono considerati accettabili, dovuti al fatto che il dipendente è chiamato a trovare soluzioni per incrementare di dieci volte un’idea, invece che migliorarla del 10%. In Silicon Valley non si ottimizza, ma si rompe e si inventa qualcosa di nuovo (il “fail fast”). Un altro elemento, toccato superficialmente, è il primato dei dati sull’esperienza (oggetto dello sdegno di Morozov nel suo lavoro), che supera anche gerarchie e intuizioni. Attraverso questi strumenti, i dipendenti Google misurano le proprie performance e potenziano la loro capacità di produrre idee finché non ne trovano alcune che funzionano molto bene. Mountain View ha disposto che il 20% del tempo debba essere orientato a progetti singolari, propri.
Un modello estremo, che cerca di fare in modo che nei vari dipartimenti i nuovi assunti sentano fedeltà ai loro coetanei, non solo ai loro supervisori.
Troppa retorica
La sensazione è che questo libro, nel contesto delle polemiche su Google, sia un’occasione sprecata. Nessun dilemma legale, etico, nelle parole degli autori, e scarsa capacità di calarsi in realtà che obiettivamente non potranno mai ripetere le condizioni dei fondatori. Sergey Brin e Larry Page, la loro giovane età insieme a quella di Internet, la visione, il genio tecnico, la quantità gigantesca di denaro, hanno consentito all’azienda di assumere rischi impensabili per gli altri e il libro, alla fine, contiene un mucchio di aneddoti divertenti, a volte straordinari, ma non si sa quanto utili per un giovane manager. Insomma, il libro che doveva raccontare come funziona Google è una celebrazione.
I capitoli del libro
Il libro è diviso in otto capitoli per 286 pagine. L’introduzione parla dei primi anni di Google, e si conclude con alcune domande sui problemi dell’informazine. Molti sottocapitoli hanno titoli originali, legati ad aneddoti raccontati in prima persona dagli autori.
- Lezioni apprese dalla prima fila
- Cultura – Credi ai tuoi slogan
- Strategia – Il tuo piano è sbagliato
- Talento – Assumerlo è la cosa più importante
- Decisioni – Il vero significato del consenso
- Comunicazioni – Sii un grande fottuto router
- Innovazione – Crea il brodo primordiale
- Conclusioni – Immagina l’inimmaginabile